Parata della Vittoria come spartiacque geopolitico: chi c'è e chi sceglie di non esserci

Basta uno sguardo alla tribuna della Piazza Rossa per capire da che parte sta il mondo. La Parata della Vittoria del 9 maggio, che commemora l’80° anniversario della sconfitta della Germania nazista e la fine di quella che chiamano la Grande Guerra Patriottica, è oggi molto più di una celebrazione storica. È una vetrina geopolitica, un indicatore simbolico ma potente di chi sostiene la Russia e chi la isola. È la geografia del nuovo ordine internazionale, vista da Mosca, l’evento laico più sacro, nello spazio post sovietico. Oltre al presidente cinese Xi Jinping, ospite d'onore e partner strategico, sfilano nella capitale russa i leader dei Paesi che il Cremlino definisce "amici". Forte la presenza latinoamericana, con il presidente del Venezuela Nicolás Maduro, il brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva e il cubano Miguel Díaz-Canel. Presente anche l’alleato bielorusso Aleksandr Lukashenko. Dall’Europa, solo il primo ministro slovacco Robert Fico e il presidente serbo Aleksandar Vučić accettano l’invito. Una scelta che “non passerà inosservata” ha fatto sapere Bruxelles. Una delegazione ufficiale arriva anche da Israele, mentre tra gli ospiti figura il regista americano Oliver Stone, noto per le sue posizioni filorusse. Tutto il resto dell’Occidente – Unione europea in testa – diserta l’evento. L’assenza del premier indiano Narendra Modi, impegnato nella crisi con il Pakistan, lascia invece una poltrona vuota tra gli alleati strategici più ambiti. Anche sul piano militare, la parata 2025 assume un nuovo peso. Accanto alle forze russe, sfilano unità di tredici Paesi stranieri, tra cui la Cina, che partecipa per la prima volta con un proprio contingente. È una messa in scena della rete di relazioni che il Cremlino cerca di rafforzare fuori dal blocco euroatlantico. Il contesto è quello della guerra in Ucraina. Putin ha annunciato una tregua simbolica fino al 10 maggio, come fece Boris Eltsin nel 1995 durante la prima guerra cecena. Ma il significato è opposto: se allora la moratoria serviva a guadagnare legittimità e tregua interna, oggi serve a mostrare compattezza esterna e rafforzare un messaggio: la guerra in Ucraina è, secondo la narrazione ufficiale russa, la continuazione della lotta contro il nazifascismo. La parata, in effetti, non ha sempre avuto questo ruolo. Durante l’epoca sovietica è una cerimonia sobria, spesso priva di parate militari. Solo nel 1965, per i vent’anni dalla vittoria, diventa festività ufficiale. Dopo il crollo dell’URSS, perde centralità. Ma è con Vladimir Putin, a partire dal 2005, che il 9 maggio si trasforma: ritorna la parata militare, si moltiplicano i simboli, cresce il tono patriottico. I carri armati tornano sulla Piazza Rossa, insieme a missili e jet supersonici. La Russia vuole mostrarsi forte, compatta, erede diretta del sacrificio sovietico. Dal 2014 – con l’annessione della Crimea – la parata diventa sempre più simbolo di sfida all’Occidente. E oggi, nel contesto della guerra in Ucraina, assume un valore ancora più politico. Il Servizio di Intelligence Estero russo arriva ad accusare i Paesi europei che partecipano agli eventi del 9 maggio a Kiev di “coincidere quasi completamente con la coalizione hitleriana” della Seconda guerra mondiale. L’anniversario della vittoria non è più solo una celebrazione del passato. È un messaggio al presente e una dichiarazione sul futuro: la Russia vuole riscrivere i confini – fisici e simbolici – della propria influenza. E lo fa proprio nel giorno in cui, 80 anni fa, la vittoria apparteneva a tutti.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Parata della Vittoria come spartiacque geopolitico: chi c'è e chi sceglie di non esserci