Dopo l'incontro a San Pietro, Trump e Zelensky devono capire se Putin vuole la pace

Dalla Basilica di San Pietro e dalla memoria di Papa Francesco, pontefice della pace, può partire un nuovo, convinto sforzo per porre fine alla guerra in Ucraina? Il bilaterale improvvisato sotto la volta michelangiolesca, prima del funerale del Santo Padre nella giornata di sabato, tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky ha acceso intense discussioni tra gli osservatori sull’effettiva possibilità che quanto avvenuto in Vaticano possa aprire una nuova fase nel negoziato per il conflitto in Ucraina. Molti ostacoli, tuttavia, restano ancora da superare. Cosa può succedere ora Per capire se l’incontro Trump-Zelensky sarà stato, come molti media internazionali hanno definito, “storico”, occorrerà osservare come evolverà nelle prossime settimane il negoziato mediato dagli Stati Uniti. La risposta, però, dipende soprattutto da chi in quella foto non era presente e rappresenta il vero convitato di pietra: Vladimir Putin. Sarà infatti l’effettiva disponibilità della Russia a negoziare seriamente a determinare se e quanto un accordo sarà possibile. In questo senso, il confronto diretto tra il presidente statunitense e il suo omologo ucraino ha prodotto un risultato indubbio: cancellare il brutto precedente del 28 febbraio, giorno della visita di Zelensky alla Casa Bianca, segnato dalle dure critiche di Trump e del vicepresidente J.D. Vance. La compattezza tra alleati è fondamentale per spingere la Russia al tavolo dei negoziati, anche se, ad oggi, una proposta ufficiale di mediazione americana non è stata presentata. Le bozze discusse finora contenevano elementi molto favorevoli a Mosca: cessione della Crimea da parte di Kiev, congelamento delle linee del fronte con sostanziale accettazione delle conquiste territoriali russe nel Donbass e rinuncia definitiva dell'Ucraina all'ingresso nella Nato. Per Zelensky resta inoltre centrale la questione delle garanzie di sicurezza: ad oggi, Putin sembra opporsi a qualsiasi meccanismo che preveda una protezione militare per Kiev. Le evoluzioni dopo San Pietro Le dinamiche successive all’incontro in Vaticano mostrano un’America sempre più frustrata dall’atteggiamento russo, ma ancora lontana dal comprendere appieno le priorità ucraine. Sabato, Trump ha scritto su Truth di sentirsi “preso in giro” da Mosca, che da un lato partecipa ai colloqui e dall’altro continua a bombardare le città ucraine; tuttavia, il giorno successivo ha ribadito il proprio sostegno all’idea di cedere la Crimea alla Russia. Domenica, il Segretario di Stato Marco Rubio ha ammorbidito i toni rispetto alle dichiarazioni rilasciate prima di Pasqua, quando aveva minacciato un’imminente uscita di Washington dai negoziati. In un’intervista alla NBC, Rubio ha affermato che l’obiettivo degli Stati Uniti è ora “determinare se entrambe le parti vogliono davvero la pace e quanto siano vicine o lontane dopo novanta giorni di sforzi" diplomatici. Un riferimento implicito alla mancanza di progressi concreti da parte russa: l'Ucraina, del resto, ha da tempo espresso disponibilità a trattare, approvando a marzo una proposta per un cessate il fuoco integrale, non sostenuta da Mosca. Le mosse di Putin tra cessate il fuoco e guerra Poche ore dopo queste dichiarazioni, Putin ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale di tre giorni, dall'8 al 10 maggio, in occasione dell'ottantesimo anniversario della vittoria sovietica sulla Germania nazista. Mosca ha invitato Kiev a unirsi all'iniziativa, sebbene episodi precedenti — come la tregua proposta a Pasqua — siano stati caratterizzati da violazioni da parte delle forze russe sul campo. Anche Le Monde sottolinea che “la Russia sta inviando segnali contrastanti”, notando come lunedì il ministro degli Esteri Sergei Lavrov abbia dichiarato che il riconoscimento dell’annessione della Crimea e di altri territori ucraini da parte di Kiev è un prerequisito per i negoziati, mentre il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ribadiva la "disponibilità" russa a trattare. L’ambiguità russa L’ambiguità della posizione russa appare sempre più evidente e si scontra con l’atteggiamento conciliante di Trump nei confronti di Putin, finora privo di risultati concreti. In questo quadro, l’effetto principale del dialogo avviato a San Pietro potrebbe essere la presa d’atto che, se da un lato l'Ucraina ha da tempo mostrato quello che Papa Francesco definiva “il coraggio del negoziato”, dall’altro la Russia sembra puntare a guadagnare tempo sul campo di battaglia mentre le trattative procedono a rilento. Assecondare Mosca con proposte apertamente favorevoli rischia di rafforzare, più che frenare, questa ambiguità. La sensazione che ci si stia avvicinando a settimane decisive si fa sempre più forte. E il confronto diretto con Zelensky ha mostrato quanto fosse illusoria l’idea di Trump di poter negoziare con Mosca scavalcando Kiev: una strategia che ha finito per indebolire, più che rafforzare, la posizione americana di fronte a una Russia la cui volontà di pace resta tutta da dimostrare.

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