La diplomazia di Francesco, un ponte tra culture con l'obiettivo della Pace

Il primo Papa proveniente dal Sud Globale è stato anche un convinto sostenitore del multilateralismo e di una coesistenza pacifica nell’ordine internazionale. Papa Francesco, scomparso ieri a 88 anni dopo 12 di pontificato, non ha solo interpretato una “Chiesa in uscita” che ha mirato a farsi pienamente ecumenica, come dimostrato dalla rivoluzione del collegio cardinalizio andata in scena nel suo mandato, ma ha anche sostenuto una visione della diplomazia profondamente orientata al dialogo. “Con i suoi 27 viaggi apostolici, Francesco ha visitato diversi angoli del pianeta, in particolare zone segnate da tensioni, marginalità e crisi regionali come l’Iraq , l’isola di Lampedusa , Myanmar e Bangladesh ”, ha scritto Ispi ricordando il defunto Pontefice, il cui mandato è “stato guidato da alcune linee d’azione e parole d’ordine, spesso diventate veri e propri slogan: la “Chiesa in uscita”, la “guerra mondiale a pezzi”, le “periferie del mondo”, non privi di riflessi diplomatici e geopolitici. I due fronti della diplomazia di Francesco Francesco ha operato una diplomazia pontificia orientata su binari paralleli ma con fini convergenti: da un lato, il sostegno alle iniziative di pacificazione nei principali teatri di conflitto e nelle arene più competitive dell’ordine globale. Dall’altro, l’appoggio convinto al dialogo interreligioso, tanto nel campo cristiano quanto verso le altre crisi. Su entrambi i fronti, Jorge Mario Bergoglio si è mosso nel solco tracciato dai suoi predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, aggiungendovi una postura originale dettata dalle sue origini latinoamericane, che l’hanno portato a guardare con maggior attenzione alle periferie “geografiche ed esistenziali”, come era solito ripetere, e a ritenere meno centrale il ruolo dell’Europa, storicamente motore dell’azione e del pensiero della Chiesa. Il multilateralismo secondo Papa Francesco Sul piano diplomatico, Francesco è stato un attento sostenitore del multilateralismo in dodici anni di grande destrutturazione dell’ordine globale e di crisi delle organizzazioni internazionali. I suoi convinti appelli al rispetto delle leggi che governano i rapporti tra Stati e popoli si sono sommati a una diplomazia, messa a terra sotto la guida del segretario di Stato Pietro Parolin, che ha sempre provato a cercare di costruire ponti. “Un esempio chiave di questa nuova direzione è stata l’apertura verso la Cina, culminata nell’accordo provvisorio del 2018 sulla nomina dei vescovi, che ha cercato di riunire la Chiesa cattolica cinese ufficiale e quella sotterranea”, sottolinea l’Ispi. La propensione a mediare si è vista anche negli scenari conflittuali che costellano le relazioni internazionali. La Chiesa di Francesco ha iniziato mediando la distensione tra Usa e Cuba nel 2015, ha proseguito con un’intensa opera di avvicinamento tra le parti in conflitto in Stati come la Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan, ha cercato di portare al tavolo delle trattative il regime di Nicolas Maduro e l’opposizione venezuelana, si è espressa per la pace nei critici teatri di Ucraina e Gaza. In Est Europa, Francesco ha sempre riconosciuto il diritto alla difesa della “martoriata Ucraina”, ma non ha mancato di garantire una lettura complessa e profonda agli scenari criticando “l’abbaiare della Nato” alle porte della Russia. Tramite il suo inviato speciale Matteo Maria Zuppi, cardinale presidente della Conferenza Episcopale Italiana e arcivescovo di Bologna, Francesco ha spinto per la mediazione tra Mosca e Kiev per negoziare il rientro di 449 bambini rapiti alle famiglie nelle aree occupate dopo l’invasione dell’Ucraina e portati in Russia. Sul conflitto in Medio Oriente, Bergoglio ha usato spesso parole dure per criticare i bombardamenti israeliani a Gaza, spingendosi ben oltre dei leader occidentali nella denuncia delle azioni delle truppe di Benjamin Netanyahu e perorando una linea chiara: stop ai bombardamenti sulla Striscia di Gaza, rientro degli ostaggi in Israele. Francesco e il dialogo interreligioso La linea della mediazione e della ricerca della sintonia con l’altro da sé è stata parimenti proiettata da Francesco nella diplomazia interreligiosa: sul fronte del dialogo con le altre Chiese cristiane si segnalano l’intenso confronto con i movimenti luterani e, al contempo, lo storico incontro a Cuba, nel 2016, con il Patriarca ecumenico di Mosca Kiril, a cui nel 2022 Francesco non ha risparmiato critiche dopo l’eccessiva sintonia mostrata con la scelta di Vladimir Putin di ordinare l’invasione dell’Ucraina. Attenta, inoltre, l’apertura al mondo musulmano: nel febbraio 2019 a Abu Dhabi Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al Tayyeb, una delle massime autorità dell’Islam sunnita, hanno firmato un documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune tra i popoli. Tale documento, un manifesto per il dialogo interreligioso, la spinta alla pace globale e l'appoggio alle organizzazioni internazionali, coronava un percorso avviato dalla Chiesa cattolica con l'incontro interreligioso di Assisi convocato nel 1986 da Giovanni Paolo II e a cui Francesco ha dato compimento. Nel 2021, inoltre, nel corso della sua visita in Iraq Francesco ha incontrato l’ayatollah Ali al-Sistani in quella che è stata la più importante occasione di confronto tra un Pontefice e un alto esponente del clero sciita mai verificatasi. Il caos globale Tutti questi sforzi segnalano l’importanza data da Francesco al dialogo come strumento di progresso e della convivenza tra popoli e nazioni. Il connubio tra diplomazia e fede è stato inserito, con il sostegno dell’azione della Segretaria di Stato, in una cornice di multilateralismo. Il grande paradosso, per il Papa, è stato quello di veder il suo invito al confronto rafforzarsi, anno dopo anno, mentre attorno a lui il mondo diventava più caotico, più competitivo, più contraddistinto da muri. Andando, dunque, nella direzione contraria a quella auspicata dal capo della Chiesa cattolica. La sfida per il Vaticano e il mondo cattolico sarà ora dunque quella di dare concretezza a tale “offensiva di pace” teologica e diplomatica mentre tra nuovi nazionalismi, logiche imperiali delle grandi potenze e rivalità che frenano i costruttori di ponti sempre nuove minacce pendono sugli equilibri internazionali. Capire in che misura il precedente di Francesco condizionerà l’azione del suo successore aiuterà a comprendere quanto sarà restato, su questo fronte, di un papato dopo il quale la Chiesa non sarà più la stessa.

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