I dazi “reciproci” imposti da Trump: la mappa dei Paesi colpiti

Il due aprile, “giorno della liberazione”, è arrivato. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha decretato tariffe del 10% sulla maggior parte dei beni importati negli Usa da ogni zona del globo e dazi aggiuntivi per una serie di Paesi specifici. Per l’Unione europea la percentuale è stata fissata al 20%. Dal punto di vista commerciale, il mondo non sarà più come prima. Certamente non come quello che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni caratterizzati dalla globalizzazione, ovvero da una forte integrazione delle economie mondiali con gli Stati Uniti al centro di questa interconnessione degli scambi. Per capire che tutto è cambiato basta dare un’occhiata alla mappa delle nuove tariffe comunicate il 2 aprile dal presidente Usa nei confronti di oltre 180 Paesi del globo. Se non visualizzi il grafico clicca qui I Paesi colorati con toni più chiari sono quelli a cui gli Stati Uniti hanno imposto dazi aggiuntivi del 10%, la soglia minima annunciata. Tra questi, la maggior parte degli stati dell’America latina e tradizionali alleati come Regno Unito e Australia. Nella terra di mezzo si trova invece l’Unione europea che vedrà calare un ulteriore 20% di imposte sui beni e i servizi esportati negli Stati Uniti. Ma ci sono economie a cui è andata peggio, tra questi le maggiori potenze economiche asiatiche. Per il Giappone la tariffa sale al 24%, al 25% per la Corea del Sud e al 26% per l’India. Pugno ancora più duro sulla Cina . Ma tra i più colpiti dalla guerra commerciale lanciata da Donald Trump ci sono anche stati decisamente più poveri, quando non martoriati da conflitti più o meno recenti o da calamità naturali. I dazi americani arriveranno al 47% per il Madagascar, al 37% per il Botswana, al 41% per la Siria, appena uscita da una feroce guerra civile, al 39% per l’Iraq. Ma è di nuovo in estremo oriente che l’amministrazione Usa in carica ha calcato maggiormente la mano. Le parti più scure della mappa si trovano nel Sud-est asiatico. 44% di dazi per Myanmar dove un terremoto ha appena causato oltre 2.600 morti, 49% per la Cambogia, 46% per il Vietnam, 48% per il Laos. Alcuni Paesi, quelli colorati in grigio sulla mappa, sono stati esentati dal nuovo round di tariffe annunciato il 2 aprile. Canada e Messico, per esempio, che restano soggetti ai dazi annunciati in precedenza. Inoltre, specifici beni come l’acciaio, l’alluminio, le automobili o i semiconduttori sono esentati dalle aliquote presentate nel “giorno della liberazione” perché soggetti a tariffe già annunciate o che saranno determinate in futuro. Reciprocità? La Casa Bianca ha definito le nuove tariffe “reciproche”. Dal punto vista degli Stati Uniti, rappresentano infatti una mossa riequilibratrice rispetto a una situazione sbilanciata a loro sfavore. Secondo l’amministrazione Trump, per esempio, sui beni e sui servizi americani importati nell’Unione europea perserebbero tariffe pari al 39%, per quelli importati in Cina si arriva al 67%. Di qui la risposta, definita dal presidente "generosa" perché corrisponde di fatto alla metà delle presunte tariffe a danno dell'America: 20% verso l'Unione europea, 34% verso la Cina. Come è stato notato, non è chiaro come sono state calcolate le tariffe che gli altri Paesi impongono agli Stati Uniti, l'amministrazione ha detto di avere tenuto conto sia di barriere agli scambi che di manipolazioni valutarie e di avere impiegato metodologie consolidate. Sembra però che il calcolo effettuato sia in realtà molto più semplice. Si tratterebbe infatti, come ha notato il quotidiano New York Times, del rapporto tra il surplus commerciale di un Paese verso gli Stati Uniti e il totale delle esportazioni di quel Paese. Si tratta di un'operazione che, di fatto, non ha niente a che fare con eventuali dazi imposti verso i beni e i servizi statunitensi. E spiega anche perché alcune economie relativamente piccole sono state colpite così duramente. Se non visualizzi il grafico clicca qui

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