Maxi esercitazioni nel Pacifico, perché la Cina torna a premere su Taiwan

Acque agitate nell’Oceano Pacifico occidentale dopo che la Cina ha avviato massicce esercitazioni militari nelle acque prospicienti Taiwan, le più ampie dall’inizio del 2025. Le forze armate di Pechino si sono mosse simulando operazioni di blocco marittimo dell’isola, manovre coordinate tra forze aeree navali e attacchi missilistici. La Repubblica Popolare ha messo in campo una cospicua forza in quella che il governo di Pechino ha definito una risposta alle “provocazioni” del presidente taiwanese William Lai, che nei giorni scorsi aveva definito la Cina “una forza straniera ostile”, dichiarando la volontà di contrastare le mire di Xi Jinping e rilanciare il percorso di Taipei verso l’indipendenza, considerata un vero e proprio tabù dall’altra parte dello Stretto. Il braccio di ferro tra Cina e Taiwan “Da quando ha assunto l'incarico nel 2024, Lai ha promosso politiche che spera possano proteggere Taiwan dalla Cina, militarmente e in aree come il cyberspazio e le operazioni ibride”, nota Npr, sottolineando che il capo dello Stato “ha anche promesso di aumentare il budget della difesa del Paese”. Nei giorni scorsi, la simulazione annuale di uno scenario da combattimento per l’esercito di Taiwan prevedeva come operazione la risposta a un’ipotetica invasione cinese nel 2027. Il timore è che a Pechino non si ritenga più percorribile l’obiettivo dell’annessione pacifica dell’isola e si inizi a pensare seriamente all’uso della forza come strumento di risoluzione della questione taiwanese. I toni cinesi sono stati quantomeno minacciosi. "Parlare di indipendenza di Taiwan significa guerra, e perseguire l'indipendenza di Taiwan significa spingere il suo popolo verso una pericolosa situazione di guerra", ha dichiarato Zhu Fenglian, portavoce dell'Ufficio per gli affari di Taiwan di Pechino. La Cina pressa quella che definisce la “provincia ribelle” con un crescente spiegamento di forze. Quello schierato oggi è il maggiore contingente messo in campo dalle ultime esercitazioni coordinate su larga scala che hanno avuto luogo a ottobre. Sul fronte militare sono almeno tre le novità importante mostrate dalla Cina nelle esercitazioni avvenute nell'ultimo anno. Il primo dato da sottolineare è lo sviluppo di una crescente capacità di coordinamento tra forze aeree, marittime, missilistiche e terrestri; segue, secondo punto, lo sviluppo di una flotta sempre più ampia di chiatte da sbarco ritenute dagli analisti fondamentali per affrontare le coste di Taiwan in caso di operazione contro l'isola; il terzo punto riguarda l'effetto sorpresa e la rapidità con cui la Cina riesce a concentrare le sue forze nel teatro di Taiwan, fondamentale per prevenire una possibile risposta da parte degli alleati di Taipei, a partire dagli Stati Uniti. Testare la capacità di reazione di Taiwan, l'obiettivo cinese Sul fronte politico, le mosse di Pechino sembrano dirette a saggiare la capacità di reazione dei rivali regionali e degli stessi Usa in caso di scenario conflittuale. Ad oggi un confronto diretto per Taiwan non appare dietro l’angolo, ma la politica ufficiale della Repubblica Popolare e del governo di Xi Jinping resta quella di annettere la “provincia ribelle” entro il centenario dell’attuale sistema politico cinese, che cadrà nel 2049. "La riunificazione della Cina è una tendenza inarrestabile: accadrà e deve accadere", ha detto martedì pomeriggio Guo Jiakun, portavoce del ministero degli Esteri di Pechino. In quest’ottica, la strategia cinese andrà letta e ponderata alla luce della decisione con cui gli Stati Uniti mireranno a blindare uno dei loro più stretti partner sul fronte politico e militare. L’amministrazione di Donald Trump si sta mostrando quantomeno ambigua in materia. L'ambiguità americana Da un lato, il Dipartimento di Stato di Marco Rubio ha tolto dal suo sito la dichiarazione ufficiale del rifiuto al sostegno dell’indipendenza di Taiwan, cardine della “politica per una sola Cina” che prevede il riconoscimento de iure di Pechino come unica titolare della sovranità sull’intero Paese ma il sostegno di fatto all’autonomia di Taipei. Questa mossa ha adirato la Repubblica popolare cinese ma, dall’altro lato, si è sommata a una serie di messaggi ambigui circa la volontà effettiva degli Usa di Trump di sostenere gli alleati ben dimostrati dall’ondivago atteggiamento sull’appoggio all’Ucraina e sull’apertura di Washington alla cessione di territori alla Russia da parte di Kiev. Parole che sono state lette con preoccupazione a Taiwan dove è sempre più pressante il dubbio sull’effettiva volontà americana di appoggiare l’isola in caso di conflitto. Come ha sottolineato la Chatham House, “l’apparente mancanza di consenso su Taiwan all'interno dell'amministrazione Trump presenta un rischio” e Pechino nei prossimi anni “potrebbe percepire una finestra limitata in cui può agire prima che gli Usa adottino una politica chiara” sulla necessità di difendere l’isola, mettendo il mondo di fronte al fatto compiuto. Scenari di questo tipo entrano nei calcoli degli strateghi operanti nel teatro del Pacifico occidentale e mostrano un contesto sempre più competitivo in cui Pechino ha tutto l’interesse a tenere sul filo Taiwan e assieme ad essa gli Usa, mostrando la sua crescente preparazione militare per forzare la situazione a suo favore. Tenendo sempre aperta la carta di una possibile operazione armata contro Taiwan che, per quanto remota, non è più da ritenere uno scenario irreale per i prossimi anni.

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