Lo Huawei-gate investe il Parlamento europeo

Mazzette, cene, biglietti per partite di calcio e altri favori in cambi di leggi compiacenti: sul Parlamento europeo si abbatte l’ombra di un nuovo scandalo a poco più di due anni dal Qatargate. Questa volta a essere coinvolte sono le presunte attività illecite del gigante tecnologico cinese Huawei a Bruxelles. Ieri, infatti, un servizio congiunto del sito Follow the Money, del quotidiano belga Le Soir e del settimanale Knack ha rivelato che il colosso cinese sarebbe al centro di un’ampia operazione di polizia. Secondo gli inquirenti belgi almeno 15 eurodeputati avrebbero ricevuto favori illeciti e vantaggi dalla multinazionale cinese in cambio di favoritismi su materie come la legislazione sui settori tecnologici e il 5G. Due uffici del Parlamento sotto chiave La procura della capitale belga ha effettuato nella giornata di ieri perquisizioni in almeno una ventina di uffici, sigillandone due all’interno dello stesso Parlamento europeo: “Uno apparteneva a Adam Mouchtar, funzionario di lunga data e attuale assistente del neoeletto parlamentare europeo bulgaro di Renew Europe Nikola Minchev”, nota Politico.eu. Mouchtar ha cofondato il gruppo EU40 a lungo guidato dalla deputata socialista greca Eva Kaili, indagata centrale nella prima fase del Qatargate, lo scandalo sulle presunte corruttele di Doha all’Eurocamera da cui per ora non sono emerse però prove concrete di una sua presunta colpevolezza. L’altro ufficio, prosegue Politico.eu, “apparteneva agli assistenti che lavoravano per l'eurodeputato di Forza Italia Fulvio Martusciello e per il suo collega di partito Marco Falcone”. Ad oggi, nessuno dei tre deputati in questione risulta indagato, mentre lo è invece un cittadino italo-belga, Valerio Ottati, 41enne responsabile Public Affairs per l’Europa di Huawei, che in precedenza è stato assistente tra Bruxelles e Strasburgo di Crescenzio Rivellini, eurodeputato italiano di Forza Italia, e poi fino alla chiamata da parte del colosso di Shenzen del 2019, di Nicola Caputo del Partito Democratico. Il sospetto degli inquirenti è che i funzionari di Huawei volessero blandire i legislatori comunitari in una fase critica in cui, su pressione statunitense, sta per aprirsi una dura battaglia per la regolamentazione della presenza degli operatori cinesi nelle reti di ultima generazione. La sfida per il 5G fa discutere le autorità europee circa la possibilità di consentire o meno a colossi come Huawei di partecipare alle gare pubbliche nei Paesi membri. Nel 2023 proprio Politico.eu aveva rivelato che i servizi d’intelligence del Belgio erano attivi nel monitorare le operazioni del gigante tecnologico cinese e le sue attività di lobbying nella capitale. Huawei ha reagito ribadendo la sua politica di “tolleranza zero” contro la corruzione e avviando un’indagine interna. Per il gruppo cinese, tra i leader globali nelle tecnologie 5G e oggi attivo protagonista nella partita dello sviluppo di chip per l’intelligenza artificiale svincolati dalle forniture statunitensi, l’inchiesta rappresenta una grana, perché cade in una fase critica per la definizione delle politiche tecnologiche del blocco a 27 in cui, peraltro, l’azienda è sottoposta a controlli di sicurezza. Anche se Huawei è un attore tecnologico di rango globale che ha ampiamente riassorbito gli effetti delle sanzioni statunitensi che ne hanno indebolito il business a partire dal 2018, per l’azienda il mercato comunitario resta decisivo. Il portavoce della Commissione europea di Ursula von der Leyen, Thomas Regnier, non ha commentato le accuse rivolte dalla magistratura belga ma ha affermato che Palazzo Berlaymont è conscio del fatto che “Huawei rappresenta rischi più elevati rispetto ad altri fornitori 5G; questo punto potrebbe essere incluso nelle valutazioni del rischio sulle gare d'appalto all'interno dell'Unione Europea”, sottolineando dunque che una stretta sugli affari comunitari del gruppo potrebbe non essere lontana. Il dibattito sulla trasparenza in Europa L’inchiesta, nel frattempo, ha riaperto il dibattito sulla penetrabilità del Parlamento europeo e delle sue strutture a operazioni estremamente disinvolte. Nicholas Aiossa, direttore di Transparency International Eu, ha denunciato una “cultura dell’impunità” al Parlamento europeo. “Abbiamo urgente bisogno di scoprire quanto è profondo questo scandalo e imporre rigide regole di etica e trasparenza, altrimenti le lobby continueranno a far girare soldi nelle tasche di un’istituzione sempre più corrotta”, ha scritto la co-presidente della Sinistra Ue, Manon Aubry in un comunicato; il deputato socialdemocratico rumeno Victor Negrescu, vicepresidente del Parlamento per la trasparenza e la lotta alla corruzione, ha fatto notare che “questi sviluppi evidenziano la necessità critica di una supervisione e di una responsabilità solide” e a lui ha fatto eco il parlamentare liberale olandese Bart Groothuis, che ha invocato “misure chiare e incisive”. Liberali e progressisti fanno da tempo pressione sul Partito popolare europeo, che detiene la maggioranza relativa, per sbloccare la formazione di un organismo etico interno al Parlamento europeo, capace di garantire trasparenza e chiarezza ai rapporti dei deputati e alzare l’asticella dello scrutinio sulle loro attività e i loro rapporti coi portatori d’interesse. Per ora la presidente Roberta Metsola ha frenato l’applicazione della stessa riforma da lei lanciata, in un contesto che vede il Ppe fare blocco con i partiti alla sua destra. Periodicamente, casi come il Qatargate o il recente caso Huawei ricordano la necessità di trasparenza: in una fase critica per l’Europa, un Parlamento spesso trattato come organo di Serie B dalle autorità comunitarie deve, per ritrovare la sua necessaria centralità, presentarsi al di sopra di ogni sospetto.

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