Caso Le Scouranec, la provincia francese a processo

A leggere le carte e le dichiarazioni rese in aula, è forse uno dei processi più disturbanti della storia recente francese. Di certo è il “più vasto”, “le plus grand”, caso di pedocriminalità che sia arrivato in tribunale. 299 sono le vittime identificate di questo chirurgo 74enne che per decenni ha annotato diligentemente i dettagli dei propri reati. Oggi Joel Le Scouarnec deve rispondere di 111 stupri e 189 aggressioni sessuali a danno di altrettante persone, dall’età media di 11 anni all’epoca dei fatti. L’omertà ospedaliera “Je suis pédophile”, ha più volte scritto di se stesso in quei cahiers ritrovati nel suo studio dagli inquirenti. Quasi la confessione di chi, inconsciamente, spera quasi un domani di dover rendere conto delle proprie azioni. Di essere sessualmente attratto da bambine e bambini l’uomo scrive di essersi conto abbastanza presto, dopo aver sperimentato le prime aggressioni su una nipotina di cinque anni. Le prime vittime le ha trovate in famiglia. Gli ospedali in cui ha lavorato per venticinque anni hanno offerto però “la varietà”. Le Scouarnec ha abusato di decine di giovani pazienti, spesso approfittando del loro stato di incoscienza dovuto ai farmaci o ai ricoveri, contando sull’intimità che la sala operatoria poteva offrire. Certi comportamenti avevano insospettito i colleghi, che l’avevano segnalato all’ordine dei medici, che dopo aver fissato un superficiale colloquio non aveva cercato di indagare oltre. Perché? Questo aspetto è oggetto del processo appena iniziato a Vannes, cittadina di 55mila abitanti a nord di Nantes. Si cerca di capire cosa abbia frenato le autorità ospedaliere - cinque quelle per cui l’uomo ha lavorato e abusato - dal denunciarlo. Errore di valutazione, o volontà di non privarsi di un prezioso medico chirurgo, figura tanto utile quanto sempre più rara nei corridoi della provincia? L’omertà della ex moglie Sembra assurdo che l’omertà su un caso di pedofilia possa essere legato alla crisi della sanità pubblica, ma non può essere escluso. Le Scouarnec però ha goduto - questo sostengono gli inquirenti e gli avvocati delle vittime - anche del silenzio colpevole della ex moglie Marie France, che con lui ha condiviso quarant’anni di vita. La donna ha già parlato come testimone in aula, negando di essere stata al corrente degli atti pedofili del marito. Ma diversi elementi nelle indagini e nelle testimonianze rese da altri membri della famiglia sembrano smentirla. Cosa avrebbe spinto quindi la donna - con cui Le Scouarnec ha avuto tre figli - a non denunciarlo e mantenere il silenzio? Gli indizi puntano verso una convenienza legata alla “volontà di preservare il prestigio del marito”, da cui derivavano la rispettabilità della famiglia e lo stile di vita “lussuoso”. La coppia si era allontanata nell’intimità, ma cercava di mostrarsi normale e unita agli occhi delle persone esterne al nucleo familiare. Nel 2004 l’abitazione era stata perquisita dall’FBI relativamente a un indagine su una rete di pedopornografia online di cui il medico faceva parte, ma il fatto era stato tenuto il più possibile nascosto e non aveva inciso sullo stile di vita della famiglia. Il ruolo della provincia Neppure una prima condanna a 15 anni dell’uomo nel 2020, per un processo in cui si esaminavano le sole prime quattro vittime individuate è bastata a convincere Marie France ad ammettere pubblicamente la realtà. Un istinto di conservazione delle apparenze accentuato - secondo i periti interpellati nel processo - dalla vita di provincia. Certo, l’incidenza della criminalità resta ben più alta nelle medie-grandi città. Ma talvolta le dinamiche di una realtà “dove tutti si conoscono” possono contribuire a un piano criminale. Vannes è una cittadina pittoresca dominata da un grande castello ristrutturato di recente, case a graticcio bordano il fossato, una fila di barche impreziosisce il lungomare con le terrasse al sole. Una cornice che ricorda quella di Avignone, dove si è concluso lo scorso dicembre un altro caso processo che ha segnato la storia francese, quello per le centinaia di stupri subiti da Gisèle Pelicot per volontà del marito Dominique Pelicot, che per cinquant’anni l’ha sedata per farne abusare sessualmente degli uomini sconosciuti contattati online. Due posti piccoli, apparentemente quieti, dove tutti si conoscono. E che tutti finiscono per conoscere, nel mondo, per via di processi che lasciano senza parole per la loro entità e gravità. Qualche anno fa a diventare tristemente “celebre” era stato Prévessin-Moens, nelle Alpi francesi vicine alla Svizzera, casa del presunto medico Jean-Claude Romand insieme alla famiglia che uccise una volta scoperte le sue menzogne. Un caso a cui lo scrittore Emmanuel Carrère aveva dedicato il libro bestseller “L’avversario”. Luoghi da gita del weekend che rischiano di trasformarsi in destinazioni del turismo dell’orrore, incapaci di scrollarsi di dosso certi nomi e fatti per anni e decenni a seguire. Complici loro malgrado di una narrativa del macabro che si nutre anche del contrasto tra l’immaginario collettivo e la cruda verità.

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