Ocalan chiama la fine della lotta armata: cosa succede ora tra Turchia e Pkk

Svolta storica in Turchia dopo le parole pronunciate ieri dal leader curdo Abdullah Ocalan. Il 77enne fondatore del Partito dei Lavoratori del Kurdistan detenuto nell’isola-prigione di Imrali da 26 anni ha chiesto all’organizzazione di deporre le armi e di sciogliersi, assicurando che sarà la politica a dare ai curdi le condizioni per una pace duratura con le autorità di Ankara. Nel video messaggio diffuso con i vertici del partito Ocalan definisce la soluzione democratica come “l’unica possibile” nel contesto attuale, che ritiene profondamente diverso da quello in cui il Pkk era nato, e invita curdi e turchi a “ritrovare lo spirito di fraternità”. Benché il Pkk fosse nato come movimento per l’indipendenza dei curdi turchi, dagli anni ’90 il gruppo aveva abbandonato l’obbiettivo della formazione di uno Stato curdo, chiedendo maggiore autonomia e un riconoscimento costituzionale dell’identità curda, che il governo turco ha sempre negato. Un conflitto che dal 1984 ha causato 40mila morti L’insorgenza del Pkk, formazione di stampo marxista-leninista, diede vita a un conflitto che tra azioni di guerriglia curde, battaglie in campo aperto, attentati degli uomini di Ocalan contro postazioni militari e funzionari di Ankara e repressioni delle truppe turche ha causato 40mila morti. Negli ultimi mesi, porre fine al conflitto iniziato nel 1984 è diventato un obiettivo tanto di Ocalan quanto del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Da primo ministro, Erdogan aveva intavolato discussioni e colloqui di pace col Pkk nel 2011, naufragati nel 2015 in un nulla di fatto. Ora, il governo di Ankara intende chiudere le trattative e realizzare l’auspicio del vicepresidente Devlet Bahceli, leader del Partito del Movimento Nazionalista che per primo a ottobre ha lanciato un appello pubblico a Ocalan per una nuova fase di pacificazione. Tattica e strategia della distensione turco-curda Secondo quanto emerso dalle fonti turche, Ankara sarebbe pronta a garantire delle forme di autonomia alle cittadine curde, a cessare la pratica di rimuovere arbitrariamente i sindaci eletti nel Sud-Est del Paese e a concedere forme di libertà condizionata a Ocalan, condannato all’ergastolo, e agli altri leader del Pkk incarcerati. In cambio, la Turchia chiuderebbe una lunga e dolorosa fase della sua storia, ma a ottenere dei risultati strategicamente importanti sarebbero anche Erdogan e il suo vice Bahceli. Sul fronte interno, il Partito Giustizia e Sviluppo di Erdogan e il Mhp cercano da tempo i voti necessari in Parlamento per far avanzare una riforma costituzionale che permetterebbe al presidente di ricandidarsi nel 2028 per un terzo mandato e mirano ad attrarre Dem come contropartita per le concessioni ai curdi. Inoltre, una pace con Ocalan sarebbe un risultato politico importante con cui rispondere alla crescita nei sondaggi dell’opposizione del Partito Repubblicano del Popolo . Infine, sul piano geopolitico e strategico Ankara guadagnerebbe dal disarmo del Pkk l’isolamento dei curdi siriani, le cui Unità di Protezione Popolare incardinate nelle Forze Democratiche Siriane sono ritenute dalla Turchia legate a doppio filo al Pkk e considerate un’organizzazione terroristica. Di fronte alla possibilità di un futuro intervento turco nel Rojava a sostegno dell’inglobamento dell’area autonoma del Nord-Est del Paese nella nuova Siria di Abu Mohammad al-Jolani, il disarmo del Pkk rappresenta un obiettivo prioritario da conseguire per guardarsi le spalle. Possibile svolta anche per i curdi della Siria Mazloum Abdi - il comandante generale delle Syrian democratic forces, milizie curde di autodifesa che governano il Nord-est della Siria - ha precisato immediatamente che le richieste di Ocalan “non riguardano” le forze curde siriane, ma ha anche sottolineato: “Si tratta di un’occasione storica per diffondere la democrazia in Turchia e dare impulso al processo di pace”. Da questo le autorità della regione autonoma siriana attendono effetti positivi: se andasse in porto Ankara non potrebbe più “usare il Pkk come scusa per minacciarci e attaccarci”, ha detto Abdi. Ancora più a Est, il presidente del Kurdistan iracheno Nechirvan Barzani ha affermato di accogliere “calorosamente” l’appello di Ocalan: “Chiediamo al Pkk di conformarsi e metterlo in atto. Noi sosteniamo pienamente il processo di pace” ha dichiarato Barzani. Una mediazione complicata La distensione, in ogni caso, non sarà facile. Dopo dieci anni dalla fine degli ultimi colloqui, l’apertura di Ocalan alla fine della lotta armata dovrà affrontare la prova del negoziato diretto tra autorità turche e guerriglieri curdi da un lato e possibili tentativi di sabotaggio da parte degli oltranzisti su entrambi i fronti. Efkan Ala, vicepresidente dell'Akp, ha detto che la Turchia "potrebbe liberarsi dalle sue catene" se il conflitto finisse, ma ha anche aggiunto che “il Pkk deve innanzitutto deporre incondizionatamente le armi”. Duran Kalkan, che assieme a Murat Karayailan e Cemil Bayik guida il Pkk, ha dichiarato all’agenzia di stampa Firat legata ai militanti che “nessuno dovrebbe pensare che ci sarà una negoziazione facile al tavolo, che si firmeranno le firme e che tutto sarà risolto”, avvertendo che “la controparte continua a voler eliminare il nostro movimento”. Porre fine a un conflitto di quarant’anni dopo dieci anni di totale assenza di contatti diplomatici impone, necessariamente, di superare delle frizioni. Ma è comune la sensazione di trovarsi a un tornante della storia dei rapporti turco-curdi destinato ad avere grandi impatti sulla politica interna e sugli scenari regionali.

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