Alla corte di Trump, il consiglio dei ministri in cui l'esperienza non conta

Tra i principali obiettivi polemici di Donald Trump c'è il così detto programma DEI, acronimo che sta per Diversità, Equità e Inclusione. Si tratta di quell'insieme di politiche, care soprattutto ai democratici, adottate per garantire a tutti le stesse opportunità nel mondo del lavoro, a prescindere dalla loro identità Per colpa di queste politiche, dicono i trumpiani, le assunzioni nel governo federale hanno dato un peso spropositato al fatto di appartenere a una minoranza, e questo a dispetto delle competenze e delle capacità. A gennaio, senza fornire prove a sostegno della propria tesi, Donald Trump ha dichiarato più volte che l'incidente aereo al Ronald Reagan di Washington, costato la vita a sessantasette persone, è stato causato anche dall'incapacità dei controllori di volo, al lavoro nella torre di controllo solo grazie ai famigerati principi di diversità e inclusione. "D'ora in poi assumeremo esclusivamente persone molto competenti", promette spesso Trump. Se per Trump la competenza è il criterio numero, però, non si capisce bene come abbia scelto alcuni membri del proprio gabinetto. A prescindere dal giudizio che si voglia dare ai primi provvedimenti varati dai neosegretari, alcuni di loro hanno poca o nulla esperienza nel campo di cui sono chiamati a occuparsi. La prima riunione di gabinetto della seconda era Trump ci ha dato l’opportunità di vederli tutti, seduti e impettiti accanto al Presidente. Pete Hegseth, la nuova guida del Pentagono Pete Hegseth era alla sua sinistra. È stato nominato Capo del Pentagono per un soffio: le votazioni al Senato erano in parità, e la situazione si è sbloccata solo quando il vicepresidente J.D. Vance ha utilizzato il proprio voto per spostare la bilancia a favore del prescelto. Volto televisivo ed ex soldato, Hegseth non ha alcuna esperienza politica. Forse è proprio per questo che, con scarsa cautela, ha squadernato anzitempo la posizione americana sull’Ucraina, rivelando durante il suo viaggio in Europa tutte o quasi le concessioni che Washington progettava di chiedere a Kiev, e che forse sarebbe stato meglio mantenere riservate fino alla fine dei negoziati. Hegseth ha rischiato di non ottenere la nomina soprattutto per alcune vecchie accuse di molestie sessuali, ma a metterlo in difficoltà, durante le audizioni in Senato, sono state soprattutto le domande tese a mettere in luce la sua impreparazione. La senatrice Tammy Duckworth gli ha chiesto di nominare uno dei membri dell’ASEAN, l’Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico, fornire il numero dei Paesi che ne fanno parte e spiegare in che rapporti sono con gli Stati Uniti. “Non conosco il numero esatto dei membri”, ha ammesso Hegseth, “ma so che siamo alleati di Corea del Sud e Giappone”. “Nessuno di questi Paesi fa parte dell’ASEAN”, gli ha spiegato la senatrice, gelida. Pete Hegseth - buon per lui - non è l’unico uomo di Trump che non ha fatto i compiti a casa. Tulsi Gabbard, la veterana all'Intelligence Tulsi Gabbard è la Direttrice dell’Intelligence Nazionale. Veterana, diversi anni in politica, non ha nessuna esperienza di intelligence, e tuttavia si trova a gestire una struttura che sovrintende diciotto diverse agenzie. La mancanza di competenze è il suo problema minore, però, perché la critica che gli viene mossa più spesso è quella di aver espresso simpatie politiche, in passato, per gente come l’ex leader siriano Assad o come il presidente russo Putin. Robert Kennedy Jr, il novax alla sanità Diverso il caso di Robert Kennedy jr. Nessuno lo accusa di non essersi occupato abbastanza di salute, semmai di essersene occupato troppo. Health Secretary nel gabinetto Trump, Kennedy in passato ha messo in dubbio l’efficacia dei vaccini, sostenendo infondate teorie che li collegano allo sviluppo dell’autismo, ha assunto posizioni antiscientifiche sulla pandemia, ha messo in correlazione cancro e Wi-Fi, ha dato agli antidepressivi la colpa delle sparatorie nelle scuole, ha negato che sia l’HIV a causare l’AIDS. In Senato RFK si è rimangiato buona parte delle sue vecchie dichiarazioni, dietrofront che è bastato a garantirgli l’appoggio dei parlamentari repubblicani. Un tempo Kennedy guidava un’organizzazione, Children's Health Defense, che tra le altre cose ha diffuso informazioni infondate sui vaccini. Il risultato è stato un calo delle somministrazioni nelle Samoa, dove nel 2019 un’epidemia di morbillo ha ucciso ottantatre persone, tra cui molti bambini. Kennedy ha negato qualsiasi coinvolgimento nella faccenda. Nel corso della prima riunione di gabinetto del “Trump due” l’abbiamo visto prendere la parola per rispondere a una domanda sull’aumento dei casi di morbillo in Texas. “Quest'anno ci sono state quattro epidemie”, ha detto, “l'anno scorso erano state sedici. Non è insolito. Abbiamo epidemie di morbillo ogni anno". Una riunione sui vaccini della Food and Drug Administration, prevista per marzo, è stata cancellata. ABC News nota come il nuovo gabinetto Trump sia “diverso rispetto a quello del primo mandato, che includeva persone di alto livello, anche quando non avevano esperienza governativa” Linda McMahon, la segretaria all'Educazione nel dipartimento da eliminare Linda McMahon era anche nella prima amministrazione Trump, dove si occupava delle piccole imprese, ma è nota soprattutto per essere tra i fondatori della Federazione del Wrestling. Ora è stata scelta come Segretaria all’Educazione. Poca esperienza anche per lei, ma Trump ha detto di voler eliminare il Dipartimento dell’Educazione, quindi il problema - se c’è un problema - potrebbe risolversi da solo. I veri meriti di McMahon sono piuttosto chiari: ha donato milioni di dollari alla campagna di Trump. La lealtà nei confronti del capo, originaria o sopraggiunta, è l’unico vero comun denominatore di questo governo. Va bene dire di no a Diversità, Equità ed Inclusione, ma la competenza, a giudicare dalle scelte di Trump, rimane in secondo piano rispetto al criterio della fedeltà assoluta. Secondo un anonimo esponente repubblicano, citato da Jonathan Rauch sull’Atlantic, Trump “è tuo amico se sei suo amico, se non sei suo amico non è tuo amico”. Semplice, no? Kash Patel è l’esempio più lampante di questa regola ferrea. Trumpiano di lungo corso, è da sempre un feroce critico televisivo di tutti coloro che attaccano il presidente, dote molto apprezzata in questa Casa Bianca. Non fa parte del gabinetto, ma è stato scelto per il posto di Direttore dell’Fbi, posto che Trump ha materialmente liberato per lui spingendo alle dimissioni il predecessore di Patel, Christopher Wray. Bisogna tenere presente che l’incarico di capo della polizia federale prevede un mandato decennale come garanzia di indipendenza politica. Difficile definire Kash Patel politicamente indipendente. Vi spiego perché. Patel ha fondato il brand Based Apparel, che vende merchandise trumpiano. Ha pubblicato una serie di libri per bambini le cui storie consistono essenzialmente in un’allegoria della lotta di Trump contro il corrotto governo federale. Col suo marchio K$H ha firmato diversi prodotti, tra cui un Cabernet Sauvignon venduto a 50 dollari a bottiglia. Ha pubblicizzato integratori alimentari messi a punto per la "disintossicazione da vaccini" , oltre ad aver collaborato alla produzione del brano “Giustizia per tutti”, dedicato ai rivoltosi dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Nel libro "Government Gangsters", pubblicato nel 2023, Patel propone di licenziare i vertici dell'FBI, chiudere la sede centrale del bureau, limitarne drasticamente l’importanza e rivedere i suoi obiettivi. Patel ha giurato vendetta ai nemici di Trump, compresi gli agenti che hanno indagato sul presidente, i giornalisti che lo hanno attaccato e i funzionari federali traditori. Tutti membri del Deep State, secondo lui. Già in occasione del primo mandato, Trump aveva cercato di mettere Patel a capo dell’Fbi. William Barr, allora Ministro della Giustizia, gli aveva risposto che sarebbe prima dovuto passare sul suo cadavere. Non se ne fece nulla, ma ora Patel ha avuto il posto che desiderava. Guida un'organizzazione con oltre 30.000 dipendenti e più di 400 uffici in tutto il paese. "L'idea che diventerà direttore dell'FBI è spaventosa", ha detto l’ex vice consigliere per la sicurezza nazionale Charles Kupperman prima che Patel fosse confermato dal Senato. "La sua carriera legale è modesta, nella migliore delle ipotesi. Le sue idee sono ridicole". I critici come Kupperman speravano almeno che il vice di Patel potesse essere un uomo d’esperienza, magari con un passato nell’Fbi. Generalmente il numero due del bureau è un agente di lungo corso. Nulla da fare, è stato scelto Dan Bongino. Ex poliziotto a New York, ex agente del Secret Service, candidato politico senza fortuna, Bongino è diventato famoso soprattutto per un podcast in cui ha sostenuto fantasie di complotto sulla pandemia, sulle elezioni del 2020 e sì, anche sull’Fbi. In un libro intitolato “Spygate”, Bongino sostiene che le indagini sulle interferenze russe nelle elezioni del 2016 furono solo un pretesto per affossare la carriera politica dell’allora Presidente. “Quello che l’Fbi ha fatto a Donald Trump non è stata un’operazione di polizia, ma semplice tirannia”, ha detto nel 2022. Una frase che da sola basterebbe a garantirgli una nomina da parte del Presidente. E la nomina è arrivata, infatti. Secondo il New Yorker “il lancio del gabinetto di Trump mostra in modo abbastanza definitivo il suo piano per la nuova Amministrazione: non vuole solo far saltare le leggi di Washington, vuole calpestarle e vuole calpestare chiunque possa essere tentato di attenersi alle vecchie regole”. In campagna elettorale Trump aveva giurato vendetta. Ora sembra intenzionato a mantenere la sua promessa. “Bonificheremo la palude”, ha ripetuto spesso prima e dopo le elezioni. Intendeva dire che il vecchio mondo di Washington doveva essere distrutto, un compito perfetto per gli uomini a cui è stato affidato. Quando arriverà il momento di costruire qualcosa, però, chi ci penserà?

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