Vivere a Kiev oggi, la guerra nella quotidianità di una giovane italiana

"Quando sono arrivata, mi sembrava incredibile vedere Kiev così piena di persone, di eventi, di vita. Guardavo dalla finestra del mio hotel e mi chiedevo: ‘Sono davvero nella città giusta?’”. Sofia Torlontano, 26 anni, è arrivata a Kiev quasi un anno fa per lavorare in un progetto di risposta umanitaria. “Mi aspettavo una capitale devastata, spenta. Invece, ho trovato una città ricca di iniziative, con chiese ortodosse dai tetti dorati e grattacieli che svettano accanto ai monumenti storici”. Dimenticare la guerra però è impossibile. “Ogni angolo della città ce lo ricorda”, aggiunge. Bandiere e immagini di soldati caduti riempiono le strade, le chiese e le piazze. Cartelloni raffigurano uomini in divisa, non per promuovere film d’azione, ma per incoraggiare l’arruolamento. I ponti principali, come quelli sul fiume Dnipro, vengono mimetizzati per proteggerli da eventuali attacchi. La routine sotto gli allarmi Sofia ha imparato a convivere con gli allarmi aerei, attivati più volte al giorno da un’applicazione che avverte della minaccia in arrivo. "All’inizio scendevo subito nel rifugio - ogni palazzo ne ha uno - ma sarebbe stato impossibile mantenere una vita normale con questa rigidità. Ora so distinguere i diversi livelli di pericolo. Per esempio, se l’allarme è per un drone lontano, resto dove sono. Ma se si tratta di un missile, mi muovo subito". Anche la preparazione per la notte è un rituale che richiede attenzione. "Ho sempre uno zainetto di emergenza pronto vicino alla porta, con coperte, acqua e cibo. Mi è capitato di restare nel rifugio per ore". Le precauzioni non si limitano agli allarmi. Gli abitanti della città devono fare scelte precise anche su dove vivere. “Io non cerco più case luminose con una bella vista, ma mi concentro su appartamenti che non siano all'ultimo piano e che abbiano una 'safe room', lontana da finestre e muri esterni: la mia è un piccolo bagno di servizio dove mi rifugio quando necessario. Inoltre, vivere vicino a un ospedale o a un’ambasciata può essere utile: hanno sistemi energetici prioritari e in caso di black out il rischio di interruzione della corrente elettrica, e in alcuni casi anche dell’acqua, è minore". Con il tempo, la percezione del pericolo cambia. "All’inizio tremavo a ogni esplosione e cose molto semplici, come tenere le chiavi in mano e chiudere la porta, mi risultavano molto difficili. Ora, invece, mi rendo conto che, a quasi un anno dall'essere qui, il mio corpo e la mia mente reagiscono in molto meccanico. Non dico tranquillo, perché comunque la paura e l'adrenalina ci sono sempre, però quando scatta l’allarme, so esattamente cosa devo fare”. Una vita sospesa Sofia ha imparato a convivere con gli allarmi aerei, attivati più volte al giorno da un’applicazione che avverte della minaccia in arrivo. "All’inizio scendevo subito nel rifugio - ogni palazzo ne ha uno - ma sarebbe stato impossibile mantenere una vita normale con questa rigidità. Ora so distinguere i diversi livelli di pericolo. Per esempio, se l’allarme è per un drone lontano, resto dove sono. Ma se si tratta di un missile, mi muovo subito". Anche la preparazione per la notte è un rituale che richiede attenzione. "Ho sempre uno zainetto di emergenza pronto vicino alla porta, con coperte, acqua e cibo. Mi è capitato di restare nel rifugio per ore". Le precauzioni non si limitano agli allarmi. Gli abitanti della città devono fare scelte precise anche su dove vivere. “Io non cerco più case luminose con una bella vista, ma mi concentro su appartamenti che non siano all'ultimo piano e che abbiano una 'safe room', lontana da finestre e muri esterni: la mia è un piccolo bagno di servizio dove mi rifugio quando necessario. Inoltre, vivere vicino a un ospedale o a un’ambasciata può essere utile: hanno sistemi energetici prioritari e in caso di black out il rischio di interruzione della corrente elettrica, e in alcuni casi anche dell’acqua, è minore". Con il tempo, la percezione del pericolo cambia. "All’inizio tremavo a ogni esplosione e cose molto semplici, come tenere le chiavi in mano e chiudere la porta, mi risultavano molto difficili. Ora, invece, mi rendo conto che, a quasi un anno dall'essere qui, il mio corpo e la mia mente reagiscono in molto meccanico. Non dico tranquillo, perché comunque la paura e l'adrenalina ci sono sempre, però quando scatta l’allarme, so esattamente cosa devo fare”.

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