Dazi dagli Usa, con quale obiettivo Meloni incontrerà Trump?

Il 17 aprile Giorgia Meloni varcherà la soglia della Casa Bianca. Non è la prima volta, ma è il debutto – in termini di visita ufficiale – con il presidente Trump. Perché un conto è andarlo a trovare a Mar-à-Lago, o partecipare – come è avvenuto – all’Inauguration Day, ma prendere posto nello Studio Ovale è tutt’altra cosa. Mai poi come in questo momento, con gli “spray” di saluto – una volta pochi minuti dedicati a qualche parola di benvenuto davanti alle telecamere – che oggi diventano vere e proprie maratone, spesso sostitutive della conferenza stampa, in cui il presidente Trump affronta con disinvoltura i temi più disparati. Tra i più sorprendenti, quello con Zelensky, che passerà alla storia come uno dei più duri e inaspettati. Oppure quello con Macron, con il presidente francese che corregge Trump sulla questione dei soldi all’Ucraina. Anche Meloni non potrà sottrarsi al rito, anche se, per sua fortuna – e sempre che non succeda altro da qui a quel momento – si preannuncia, sulla carta, più semplice anche solo rispetto al momento dell’annuncio della missione a Washington. Con la sospensione dei dazi da parte americana, e lo stesso passo compiuto dall’Europa, molte delle criticità che potevano diventare per Meloni delle “trappole mortali” sono state messe in stand-by. Ecco allora che molti si chiedono: cosa va a fare Meloni a Washington? Domanda legittima e interessante, ma che forse lo era ancor di più prima della scelta di sospendere le “tariffe” contro il mondo. In quella cornice, Giorgia Meloni si sarebbe ritrovata alla Casa Bianca nel bel mezzo di una turbolenza senza precedenti. Leader nazionale, al centro di una partita che si sarebbe, e si dovrà, giocare all’interno della squadra europea. In quella situazione i rischi sarebbero stati enormi, così come le ambiguità. Tanto che Palazzo Chigi aveva messo le mani avanti: “Andrà per capire come negoziare, condividendo subito l’esito del colloquio con gli altri leader del Vecchio Continente”. Senza un mandato ufficiale, ma con quello informale, condiviso con Von der Leyen, di provare a capire le condizioni per uscire dalla tempesta. Una sorta di missione esplorativa per conto terzi, accompagnata da qualche mugugno – leggi: Francia – per la paura di dare forma all’immagine di un’Europa unita a parole, ma pronta a trattare individualmente. Rischi e pericoli, non fraintendiamoci, che restano sul tavolo, ma molto più sfumati e non più imputabili formalmente alla volontà di uno dei Paesi fondatori. Perché il ripristino di questa momentanea “normalità” dei rapporti tra Usa e Ue permette a Meloni di riportare il suo viaggio in una cornice di altrettanta normalità: quella del primo ministro italiano che celebra il tradizionale rito della visita a Washington dell’amico a stelle e strisce. Accade con ogni governo, in ogni legislatura, con ogni presidente. Un colpo di fortuna non di poco conto, perché permette a Meloni di affrontare apertamente e senza imbarazzo anche questioni bilaterali, riducendo il timore di essere accusata di andare a fare gli interessi dell’Italia a discapito di quelli europei. È evidente che il ragionamento si basa sulla teoria delle cose, e che nella realtà questa libertà di movimento creerà comunque qualche dubbio, ma Meloni non è la prima e non sarà l’ultima, e quindi nessuno potrà accusarla di nulla. Tanto meno Macron, che fu il primo degli europei a volare a Washington. Resta il punto centrale: a cosa può ambire davvero la premier con questo viaggio? Sul piano pratico non c’è un “bottino” da portare a casa. I rapporti tra Italia e Stati Uniti sono consolidati, le questioni economiche sono indissolubilmente legate alla dinamica internazionale. Sul piano politico, invece, il discorso è più articolato, e sarà Giorgia Meloni a dover dare qualche risposta a Trump. Sulla difesa, Trump vuole un aumento della contribuzione per la Nato. L’Italia è tra i Paesi più indietro. L’impegno che verrà offerto è di portare al 2% del Pil l’esborso italiano, aumentandolo progressivamente nel corso dei prossimi anni. Sull’energia, il nostro Paese già acquista gas liquido dagli Stati Uniti. La premier confermerà questo impegno, mettendo sul piatto la disponibilità ad aumentare gli approvvigionamenti, se questo può essere il viatico per una maggior clemenza nei rapporti economici. Sulla Cina, gli Usa in questo momento vedono in Pechino il loro primo nemico. L’Italia ha già archiviato gli accordi della “Via della Seta”, ma andare oltre è complicato. Ecco allora che l’obiettivo di Meloni è portare a casa tre sì. L’ok di Trump alla linea italiana servirebbe a blindare tanto il rapporto quanto l’ambizione – non ancora accantonata – di poter diventare, se non proprio l’interfaccia con Bruxelles, quanto meno il primo fluidificante dei rapporti tra le due sponde dell’Atlantico. Da qui il sogno di poter gettare – questo sì per conto dell’Unione europea – il primo mattone per un’intesa a “zero dazi”, che l’Italia continua a sostenere. Per farlo, la premier garantirà l’impegno del nostro Paese ad evitare reazioni istintive anti-Usa che potrebbero ritrovare spazio se le cose precipitassero nuovamente. Ovviamente, sperando che nei vari momenti pubblici non arrivino da Trump attacchi all’Europa o ad altri partner. A quel punto ci si ritroverebbe stretti tra la difesa dell’Ue e la possibile mortificazione del presidente americano. O, ancora peggio, lasciar correre in silenzio, ma tirandosi addosso critiche enormi al rientro a casa. Ecco perché, sotto sotto, qualcuno nel governo spera quasi in una passerella da cerimoniale: foto di rito, stretta di mano, nessun “do ut des”. Ma anche questo dipenderà sempre e solo da Trump.

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