Pioggia di critiche sul piano di Trump per Gaza

Il piano di Donald Trump per Gaza, espresso ieri in conferenza stampa al termine della visita di Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca, infiamma il Medio Oriente. Di fronte alla prospettiva che vedrebbe gli Usa prendere il controllo della Striscia, prepararne la ricostruzione dopo il trasferimento dell’intera popolazione palestinese e instaurarvi una “riviera” di resort di lusso, sulla Casa Bianca sono piovute critiche e contestazioni. Se Israele esulta, tutto il resto della regione è ben oltre la soglia dell’indignazione. Alla vigilia del summit proposta di Trump di trasferire fuori dalla Striscia di Gaza la popolazione palestinese aveva ottenuto il sostegno dell’80% degli intervistati in un sondaggio del Jerusalem Post. Il primo ministro Netanyahu ha definito il tycoon “il più grande amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca”. Le reazioni opposte di Israele e mondo arabo Magnificando il progetto di Trump, Netanyahu ha detto che il capo di Stato Usa "vede ciò che gli altri si rifiutano di vedere e dice ciò che gli altri si rifiutano di dire", elogiando Trump anche per aver "affrontato l'antisemitismo, smesso di finanziare l'agenzia Unrwa e rilanciare la massima pressione contro l'Iran". I due leader hanno mostrato inoltre la comune volontà di rilanciare gli Accordi di Abramo conclusi nel 2020 e di rafforzare la distensione tra Israele e i Paesi arabi in nome del contenimento all’Iran. Ma proprio le dichiarazioni di Trump su Gaza rischiano di boicottare il processo di normalizzazione. Riad ha ribadito infatti la sua totale indisponibilità a stabilire relazioni diplomatiche con Israele “in assenza di garanzie adeguate per la nascita di uno Stato palestinese". I sauditi hanno aggiunto di rifiutare "le politiche di insediamento israeliane, l'annessione di terre o i tentativi di sfollare il popolo palestinese dalla sua terra". Dalla Palestina, Hamas ha definito “ridicola” la proposta e il suo portavoce, Sami Abu Zuhri, ha dichiarato che “qualsiasi idea di questo tipo è in grado di incendiare la regione”. Anche il presidente dell’Anp Mahmoud Abbas ha ammonito: “non permetteremo alcuna violazione dei diritti del nostro popolo, per i quali abbiamo lottato per decenni e fatto grandi sacrifici". Tutto il mondo storce il naso Allineati anche altri paesi della regione, tra cui Egitto, Emirati Arabi Uniti e Qatar che in una nota congiunta della Lega Araba, si sono duramente opposti all’ipotesi dello sfollamento dei palestinesi da Gaza. Ferma anche la reazione della Turchia: Hakan Fidan, ministro degli Esteri di Ankara ha minacciato l'interruzione degli scambi commerciali con Israele, definendo “inaccettabile” la proposta di Trump e ammonendo che “escludere i palestinesi dall’equazione è un grave errore”. Fuori dal Medio Oriente, critiche al progetto sono arrivate anche da parte di Russia e Cina. In una nota, il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha detto che Mosca rifiuta la “logica della punizione collettiva alla popolazione di Gaza”, mentre Pechino ha ribadito la necessità di rilanciare la soluzione dei due Stati. Il premier australiano Anthony Albanese ha espresso una medesima visione, chiedendo la costruzione di un Medio Oriente "dove sia gli israeliani che i palestinesi possano vivere in pace e sicurezza". Analoga la posizione espressa a nome del governo francese da parte del portavoce del ministero degli Esteri Christophe Lemoine. Tutte queste dichiarazioni, provenienti da attori tanto diversi e spesso schierati su posizioni antitetiche o rivali su altri dossier, dimostrano un livello di apprensione crescente per l’unilateralismo di Trump e Netanyahu. Sorprende, in particolar modo, che un piano sul futuro di Gaza sia stato promosso senza prima coinvolgere sul fronte politico Egitto e Giordania, gli Stati in cui – secondo i piani di Trump – dovrebbero essere trasferiti i palestinesi della Striscia, e che hanno espresso la loro totale contrarietà al riguardo. La sensazione è che Trump intenda blindare con forza la coalizione al governo a Tel Aviv, offrendo concessioni tanto a Netanyahu quanto ai suoi alleati più a destra, come Bezalel Smotrich, puntellando l’esecutivo nazionalista in vista di sfide da lui ritenute più importanti. Impossibile non pensare, in quest’ottica, all’Iran, in passato Stella Polare della politica americana per il Medio Oriente e ancora oggi obiettivo ultimo della volontà di Trump di ricostruire la trama degli Accordi di Abramo. Dal 2020, anno della firma del primo accordo tra Israele, Usa, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, il mondo è però radicalmente cambiato, e con esso il Medio Oriente. Già in passato fu fatto l’errore politico di ritenere la questione palestinese un’appendice geopolitica o una questione sostanzialmente interna di Israele. Il 7 ottobre 2023 e le sue conseguenze hanno tragicamente dimostrato l’infondatezza di queste prospettive. Pensare al futuro della regione martoriata da oltre un anno di guerra senza coinvolgere i palestinesi e agli altri attori arabi rischia di generare solo ulteriore insicurezza e instabilità nella regione. Esattamente l’opposto rispetto a quello che Trump si aspetta di ottenere.

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