A Gaza la macabra liturgia della liberazione degli ostaggi

Il copione si ripete. Hamas rilascia gli ostaggi e lo fa ogni volta con un corredo impressionante di immagini studiate, di propaganda, sfoggiando armi, bandiere palestinesi, sfilate di uomini in mimetica incappucciati e armati fino ai denti che mimano scene di addestramento. Plotoni a terra in riga e camionette gremite di miliziani che sfrecciano. Una sorta di macabra liturgia militaresca che celebra se stessa e la propria forza. Vengono richiamate folle oceaniche radunate per l’occasione, droni liberati in aria e sorvolano la scena per riprendere non solo la cerimonia ma, volutamente, anche la distruzione di Gaza che fa da cornice. Un assaggio era già stato dato sabato 25 gennaio, in occasione della liberazione delle prime quattro soldatesse israeliane. Ma il rilascio di giovedì dei due ostaggi israeliani, Arbel Yehud e Gadi Mozes, consegnati da Hamas e dal Jihad Islamico alla Croce Rossa, è quasi drammatico. Avviene a Khan Younis, nel sud, vicino alle macerie della casa di Yahyia Sinwar, il leader di Hamas e architetto della strage del 7 ottobre contro Israele, ucciso pochi mesi fa. La telecamera immortala il volto terrorizzato di Arbel, 29 anni, appassionata di astronomia, in mezzo a una calca opprimente, la ragazza riesce a camminare a malapena a causa della folla che preme sul cordone dei miliziani che la scortano verso i veicoli della Croce Rossa. Intorno il caos: urla, grida e fischi. Un clima di tensione palpabile. Lei e Gadi Mozes, 80 anni, sono arrivati al punto di rilascio, sui veicoli del Jihad islamico che procedevano a fatica per via della folla. Ovunque bandiere di Hamas e degli alleati del Jihad. Immediata la reazione del governo di Israele. “Scene orribili e scioccanti”, le ha definite il premier Benjamin Netanyahu “un'ulteriore prova dell'inimmaginabile crudeltà dei terroristi”. Israele ha chiesto ai mediatori che scene così non si ripetano più e di garantire la sicurezza degli ostaggi e ha ritardato per questo la liberazione di oltre cento prigionieri palestinesi. Scenario diverso, ma sempre uno show preparato ad arte, quello che ha fatto da sfondo alla liberazione della soldatessa Agam Berger, rilasciata nel nord di Gaza, a Jabalia. Vestita con un’uniforme verde militare, capelli raccolti in una coda, emerge, scortata, dalle macerie di un palazzo, come da una quinta teatrale. Poi va in scena la cerimonia. Lei sul palco allestito per l’occasione, pallida e tesa, che alza la mano e fa un segno di saluto, riesce anche ad abbozzare un sorriso. Circondata dai miliziani in assetto di guerra, le viene consegnata una targa che deve esibire suo malgrado a favore di telecamera, dietro di lei un enorme striscione inneggia alla vittoria di Hamas. La folla è tenuta a distanza sul grande spazio deserto recintato. Mentre le macchine della Croce Rossa arrivano, il passo di Agam si fa veloce, quasi una corsa repressa per mettersi al sicuro. Quella macchina è la libertà. Le riprese di Hamas fatte con un drone indugiano dall’alto, migliaia di bandierine palestinesi sono state sospese su tutto il piazzale, l’obiettivo si sofferma sui miliziani impettiti e sui dettagli delle loro armi. Una scenografia drammatica che non lascia nulla al caso. Tutto deve dare un messaggio: il potere di vita e di morte è nelle nostre mani. Ma nonostante tutto questo, oggi, quello che conta è che Agam, Arbel, Gadi e gli altri ostaggi liberati siano finalmente tornati a casa.

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