Giorno della Memoria, Dorrit Blumenkranz: la storia straordinaria di una vita come tante

Questa è la storia straordinaria di una vita come tante. Una storia che passa attraverso gli orrori del Novecento senza perdere l'amore per la vita, per la famiglia, per il cibo. Questa è la storia di Dorrit Blumenkranz. Dorrit nasce a Vienna da una famiglia ebrea. È il 1938. Solo pochi mesi, e la lugubre avanzata delle truppe hitleriane le porterà in città. I genitori di Dorrit, Berta ed Efraim Blumenkranz, non impiegano molto a capire che Vienna non è più un luogo sicuro. Bussano alle porte di tutte le ambasciate, una dopo l’altra, ma nessun Paese accetta di aiutarli. Nessuno tranne uno: l’Italia concede loro il visto. Il padre di Dorrit parte per primo, la moglie e la figlia lo raggiungeranno appena possibile. Quando Berta e la piccola arrivano in treno a Milano non trovano nessuno ad aspettarle. Dopo diverse ore di attesa prendono un taxi e si fanno portare all’indirizzo che gli ha lasciato Efraim. Dopo vari spostamenti - e incidenti di percorso - arrivano a Guardiagrele, un piccolo comune italiano della provincia di Chieti, in Abruzzo, scelto dalle autorità fasciste come luogo di internamento civile per i profughi ebrei. Efraim è lì. Gli anni dal 1939 al 1944 sono anni felici, anni trascorsi al secondo piano di una bifamiliare con giardino. Dorrit impara l’italiano e il dialetto locale, e anche se è la più piccola della famiglia spesso è lei a tradurre per gli altri. La gente di Guardiagrele li accoglie nel migliore dei modi: tutti si prendono cura di loro. Dorrit ricorda in particolare una donna. Si chiama Rosalia, ma la bambina la chiama nonna. Il che è singolare, visto che Rosalia ha appena diciassette anni e non è ancora sposata. Rosalia prepara il pranzo e la cena per tutti. È soprattutto così che in Italia si dona il proprio affetto. Dorrit ricorderà bene i piatti di Rosalia, il modo in cui li prepara, il calore con cui rendeva speciale la vita degli altri. In seguito, non più bambina, tornerà spesso in Italia per incontrarla la sua giovane "nonna". Nel luglio del 1944 la famiglia di Dorrit, e con essa migliaia di altri rifugiati, riceve l’invito del Presidente Roosevelt a raggiungere gli Stati Uniti. Il viaggio verso l’America avviene a bordo della Henry Gibbins, ma coinvolge in tutto ventinove navi, incluse sedici imbarcazioni da guerra. È un viaggio lungo e spaventoso, perché le navi viaggiano sotto la continua minaccia delle incursioni aeree e navali tedesche. Il 3 agosto del 1944 la Henry Gibbons attracca a New York. Doritt è in salvo, proprio il giorno in cui Anna Frank viene tradita ad Amsterdam. La prima notte in America la passa in bianco: le luci della città sono troppo intense per riposare. Il giorno seguente la portano a Hoboken, nel New Jersey, dove un fotografo le regale un hot dog e scatta una foto che finirà su molti giornali. Non è la fine, semmai è un nuovo inizio. Da Hoboken si parte in treno in direzione Oswego, una piccola cittadina tra Syracuse e Rochester. Per diciotto mesi la vita dei Blumenkranz si svolge nelle baracche allestite a Fort Ontario, trasformato in un campo per i rifugiati. Finita la guerra la situazione non cambia: i rifugiati, infatti, rimangono bloccati in attesa che il governo e la politica decidano se conferire loro la cittadinanza. Fort Ontario non è male, però. Doritt inizia la scuola e impara la lingua inglese. Uscire si può, ma servono dei pass. Efraim riesce a recuperarne uno per andare a New York, dove vivono alcuni suoi cugini. La Grande Mela lo strega. Vuole assolutamente vivere in quella città di cui si è perdutamente innamorato. Ma il destino ha altri piani. Qualche settimana dopo Efraim finisce all’ospedale di Syracuse per una meningite spinale. Muore in ventiquattro ore. La storia con la "s" maiuscola si intreccia inesorabilmente con le piccole grandi vite della gente comune, così mentre il mondo crolla addosso a Dorrit, i rifugiati come lei ottengono finalmente la cittadinanza americana. È il gennaio del 1946, e la bambina può lasciare Fort Ontario. I rifugiati sono un migliaio. Molte comunità aprono loro le porte e li aiutano a cercare lavoro, abitazioni e scuole. La prima casa di Doritt è nel Bronx. La divide con la sorella della madre, Ciel, e con il marito di lei, ma presto si trasferisce nel Lower East Side. A questo punto, come in un romanzo d'altri tempi, bussa alla porta un nuovo personaggio, sfociato nel bel mezzo della storia come un torrente che aggiunge la propria acqua a quella di un fiume più grande. La nonna di Dorrit, Leah, è scampata allo sterminio nazista lasciando l'Austria per il Belgio, e spostandosi finalmente oltreoceano. Una fuga rocambolesca nel quale ha perso il marito e il figlio. Ma questa è un'altra storia, un altro fiume. A casa di Dorrit, Leah la chiamano Oma, cioè nonna. È lei che si occupa dei bambini quanto il resto della famiglia è al lavoro. Adesso vivono tutti insieme a Rego Park, nel Queens, una famiglia itinerante in cui a rimanere saldo è l'affetto degli uni per gli altri. Doritt va a scuola, incontra una splendida insegnante, migliora costantemente il proprio inglese. Ma è soprattutto a casa che impara quello che le cambierà la vita. Oma cucina, eccome se cucina. Fa la spesa ogni giorno, percorre lunghe distanze per raggiungere i negozi con la merce migliore e quando torna a casa si mette ai fornelli. La cucina è semplice: goulash, brisket, patate bollite, zuppe. Il cibo è nutriente, abbondante ma mai eccessivo. Viene acquistato e cucinato il giorno stesso, perché sia sempre fresco. Si mangia alle diciotto, tutti insieme. In un mondo nuovo, questo è il momento delle certezze. Ogni boccone è un ricordo, capace di riportare alla mente i momenti belli e intensi vissuti prima del dolore e della tragedia. Berta ripensa a Efraim e a Vienna, Doritt torna con la mente all’Italia e alla tavola di Rosalia, la sua Oma prima di Oma. Consapevolmente o meno, Doritt comincia a maturare la convinzione che se si sta bene c'è di mezzo una tovaglia. Ci crede ancora quando, studentessa al Fashion Institute of Technology di Manhattan, incontra uno studente: Marvin Schechter. Lei ha 18 anni, lui 24. Tre mesi più tardi si sposano. Inizia un'altra vita, che porta in sé quella precedente. Una casa nel Queens, poi un'altra a Long Island. Un figlio dopo l'altro, fino a contarne cinque: Philip, Stuart, Laura, Renèe e Dena. Una vita perfetta, dopo tanto dolore, ma a Doritt manca qualcosa. "Se mi guardavo allo specchio", racconta, "i miei occhi erano vuoti". È come se avesse lasciato la sua anima nei tanti luoghi in cui è passata, un pezzo per volta. Per ritrovare sé stessa si rivolge alla psicanalisi. La vita le ha insegnato che in un mondo in cui tutto è in bilico, alcune cose sono in grado di resistere per sempre. Nei primi anni Ottanta, va di ristorante in ristorante a vendere le sue torte. È poco più di un passatempo, ma presto diventa un lavoro. Perché "ciò che resta" è esattamente il cibo, o meglio le relazioni che riesce a stabilire tra le persone. Prima nasce un piccolo forno, "My Most Favorite Dessert Company", a Great Neck, New York. Poi è la volta di uno spazio ben più grande e lussuoso: si trova nell'Upper East Side di Manhattan. "Pagavo diecimila dollari al mese di affitto", racconta Dorrit, "e non sapevo assolutamente se sarei riuscita a sborsare quella cifra". Servono olio di gomito e un po' di ottimismo. Si inizia con le colazioni, si finisce dopo cena. "Ma io facevo le torte, che altro avrei potuto fare?" La soluzione arriva dal passato, dall'Abruzzo: cosa, se non pasta? I soldi per l'affitto Dorrit li trova eccome, anzi apre un secondo punto vendita. Le recensioni positive si moltiplicano, ne esce una anche sul New York Times. Oggi Dorrit è un'elegante signora che cucina ancora per i suoi cari. È una donna che ha perso tutto e l'ha rimesso insieme un pezzetto per volta. Se fossimo in vena di luoghi comuni, potremmo definirla una protagonista del sogno americano. Invece la chiameremo solo Oma.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Giorno della Memoria, Dorrit Blumenkranz: la storia straordinaria di una vita come tante