Chi è Almasri, il torturatore di Mitiga in Libia

Il caso dell’arresto a Torino e dell’immediato rilascio con annesso rimpatrio di Najeem Osama Almasri, al centro di una controversia internazionale che riguarda il governo italiano, ha riacceso il faro sul tema sempre scottante della gestione dei centri di detenzione in Libia. Ma chi è l’uomo contro cui la Corte Penale Internazionale ha spiccato un mandato di cattura per crimini di guerra e contro l’umanità? Direttore dell'Istituto di riforma e riabilitazione della polizia giudiziaria di Tripoli dal 2021, Al Masri ha di fatto gestito le principali strutture detentive della capitale libica, incluse Mitiga, Jdeida, Ruwaimi e Ain Zara, divenute tristemente note per le denunce di torture, stupri e maltrattamenti sistematici. Le accuse contro di lui includono reati per tortura, stupri, omicidi, e violazioni dei diritti umani commessi soprattutto nel centro di detenzione di Mitiga a Tripoli, di cui era a capo ancor prima di ricevere la promozione all’intero sistema detentivo tripolino. Chi è Almasri Pur considerato una figura di spicco negli avvenimenti che hanno riguardato il governo libico internazionalmente riconosciuto negli ultimi anni, la sua biografia resta lacunosa e piena di punti oscuri. La rivista Arab Weekly ricorda che si è formato militarmente nelle milizie che nel 2011 hanno contribuito alla caduta del regime di Muammar Gheddafi e da allora è sempre stato legato ai gruppi armati vicini ai governi tripolini. In particolare, Almasri avrebbe aderito ad una formazione denominata Apparato di deterrenza per il contrasto al terrorismo e al crimine organizzato che è l’antesignano dell’attuale istituto poliziesco che gestisce i centri di detenzione dei migranti. Il Dacto ha il suo centro di comando nell'aeroporto di Mitiga, dove si trova tanto lo stato maggiore della polizia libica quanto una delle famigerati prigioni. Dal 2017 in avanti, in qualità di comandante di Mitiga, Almasri ha potuto gestire i centri per migranti che l'Italia sostiene da quando nel 2017 il governo di Paolo Gentiloni e dell’allora ministro dell'Interno Marco Minniti conclusero un memorandum con il governo di Fayez al-Serraj per sostenere gli sforzi libici di contrasto all'immigrazione verso l'Europa. Il ruolo negli scontri del 2022 Come detto in precedenza, il grande salto è arrivato nel 2021 con la promozione alla guida dell’intero sistema delle carceri della capitale libica. Come ricorda Nello Scavo su Avvenire gli uomini di Almasri si sono resi protagonisti nel 2022 dei sanguinosi combattimenti a Sabaa, periferia est di Tripoli, tra le forze fedeli ai rivali primi ministri libici Fathi Bashagha, sostenuto dal parlamento di Tobruk, e Abdul Hamid Dbeibeh, primo ministro del governo di unità nazionale di Tripoli. Il complesso di Mitiga, spesso divenuto campo di battaglia nel corso di questi conflitti, è stato difeso dalla Datco di Almasri, valorizzandone il peso anche agli occhi degli alleati di Tripoli perché, sottolinea Avvenire, “ospita non solo l’unico scalo aereo civile che attualmente serve Tripoli” ma anche “una base aerea dalla quale partono i droni d’attacco di fabbricazione turca”. I torbidi della Libia In quest’ottica, si capisce il peso specifico del personaggio che la polizia italiana ha arrestato su mandato della Cpi il 19 gennaio 2025 a Torino, dove si trovava per assistere alla partita di calcio tra Juventus e Milan. In seguito è stato rilasciato il 21 gennaio e rimpatriato su un volo di Stato. Il suo arresto non sarebbe stato convalidato perché mancava l'interlocuzione preventiva con il ministero della Giustizia italiano, necessaria per eseguire un mandato della Cpi. Al Masri dunque sarebbe stato scarcerato e rimpatriato per un vizio di forma, un cosiddetto "errore procedurale" che avrebbe portato la Corte d'appello di Roma a disporre con ordinanza immediata la scarcerazione dell'uomo, detenuto al carcere delle Vallette. La vicenda, che sta sollevando numerose polemiche non solo in Italia a cui peraltro la Cpi ha chiesto spiegazioni, si inserisce nell’ambito delle opache relazioni tra i governi italiani e le cosiddette “autorità libiche” che secondo osservatori e organizzazioni non governative prevedono flussi di denaro e risorse in cambio del fermo violento di migranti e profughi, gestito da milizie armate senza scrupoli. In tempi sempre più incerti per la diplomazia globale, le violazioni del diritto internazionale da parte dei Paesi democratici dimostrano quanto anche questi ultimi contribuiscano, con doppi standard del genere, a render tali basi più fragili.

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