Il presidente lettone: "Spendere di più in difesa per preservare la democrazia"

Per difendere il vecchio ordine post-Guerra Fredda, quello che ci ha garantito decenni di pace, occorre investire più soldi nella difesa, anche fino al 5 per cento del Pil di ogni Paese membro dell’Alleanza atlantica. Così, ai microfoni di Sky Tg24, ha parlato il presidente della Lettonia, Edgars Rinkēvičs, dal World Economic Forum in corso a Davos. Lo abbiamo incontrato il giorno dopo un potente discorso, sempre da Davos, di Volodymyr Zelensky, nel quale il leader ucraino ha chiesto agli europei di non stare ad aspettare le mosse del neopresidente Donald Trump, ma di prendersi un ruolo centrale nella politica estera e di difesa. “Credo che il presidente Zelensky abbia ragione a dire che si sta parlando molto della nuova amministrazione americana e delle politiche che Trump metterà in atto - ci ha detto Rinkēvičs -, ma non si parla abbastanza dell’Europa. Qual è la posizione dell’Europa riguardo la propria sicurezza e difesa, la sua posizione riguardo alla competitività, perché tutti conosciamo i nostri limiti e sappiamo che non siamo così competitivi come vorremmo essere. E infine sì, la guerra in Ucraina, l’aggressione russa, è innanzitutto un problema europeo, non un problema americano, non un problema del mondo. In fin dei conti, siamo noi europei che dovremmo preoccuparci. E dalla mia prospettiva, che è quella di un Paese che confina con la Russia e la Bielorussia, posso dire che sono pienamente d’accordo con le sensazioni di Zelensky". Siete preoccupati da un possibile cambio della politica americana con la nuova amministrazione Trump per quanto riguarda la guerra in Ucraina? No, non sono preoccupato, forse perché abbiamo già avuto l'esperienza di quattro anni della prima amministrazione Trump. E poi per qualcosa che ha detto durante tutta la campagna elettorale e ora che è diventato presidente degli Stati Uniti: la necessità per tutti i Paesi alleati della Nato, europei, canadesi, di aumentare la spesa per la difesa. È qualcosa che anche il mio Paese sta non soltanto discutendo, ma facendo. Al momento stiamo discutendo della necessità di aumentare le spese per la difesa fino al 4% o 5%, oggi siamo al 3,4% del Pil quando si parla delle spese per la difesa. Quello che mi preoccupa è che non tutti nella Nato capiscano questo. La seconda questione è che tutti dovremmo capire che l’America ha molti interessi nazionali nelle sue relazioni con l’Asia e con il Continente americano, e quindi l’Europa deve prendere la sua difesa e sicurezza e competitività più seriamente. Certo, affrontiamo diverse questioni: l’immigrazione è una di queste. Il mio Paese vede l’immigrazione come un’arma ibrida, perché notiamo quello che la Bielorussia sta facendo, semplicemente spinge attraverso il confine tra Lettonia e Bielorussia persone che cercano asilo non in Lettonia ma in Germania e Svezia. Parliamo della necessità di affrontare una Russia aggressiva non soltanto quando si tratta di costruire le nostre capacità difensive e la nostra industria della difesa, ma anche guardando a come poter mettere pressioni economiche. Non è un’idea popolare ovunque, lo capisco. Credo anche che i Paesi del Sud dell’Europa, se considerano i rischi dell’intero continente europeo, devono prender seriamente la sicurezza perché ci sono rischi anche al Sud. Alla fine, è nel nostro interesse. Ha parlato della possibilità di un aumento al 5% del Pil delle spese della difesa, che cosa succede a quei Paesi della Nato che non possono permetterselo? Non se lo possono permettere, perché? Questa è la questione più grande. Francamente, sono un po' in difficoltà a rispondere a questa domanda. Conosco molti alleati che fanno parte della NATO Multinational Brigade in Lettonia che non spendono il 2,5% o nemmeno il 2% e fanno un grande lavoro nell'assicurare la nostra stessa sicurezza. Sono il Canada, l'Italia, la Spagna che sono alleati e partner eccellenti. C'è qualcosa che occorre forse capire: questo periodo di ordine post-Guerra Fredda è terminato. Abbiamo avuto un sacco di sentimenti romantici su come il mondo dovrebbe essere costruito: legge internazionale, diritti umani, democrazia, questi sono principi guida anche oggi. Occorre però capire che per difendere questo vecchio ordine dobbiamo investire di più in difesa. Non penso che il mondo sarà un posto più pacifico dopo qualche tipo di accordo di pace di cui tutti discutiamo in Ucraina. C'è il Medio Oriente, ci sono altre sfide. Sfortunatamente non posso essere d'accordo con l'idea "non possiamo permettercelo". Se il mio Paese, che non è forse il Paese più prospero dell'Unione europea, può permetterselo, se i nostri amici e alleati baltici possono permetterselo, se la Polonia può permetterselo, se il presidente francese parla di investire di più nella difesa dovremmo forse riconsiderare questa idea. Un'altra cosa in cui credo si possa fare di più è il progetto di difesa comune. Crede nella possibilità di utilizzo di eurobond per sostenere una difesa comune? Sono pronto a discutere qualsiasi opzione possa aiutare ad affrontare in Europa le due sfide maggiori: le nostre capacità e mancanza di capacità e la nostra industria della difesa. Donald Trump ha più volte detto che in Ucraina vorrebbe ottenere velocemente un accordo. Se questo accordo veloce aprisse a perdite territoriali per l’Ucraina, che cosa significherebbe per voi? Non sta a me decidere, ma è l’Ucraina che deve decidere quali condizioni e quali accordi sono da considerarsi accettabili. Credo, però, che ci siano tre punti importanti: il primo è ammettere che non è più l’Ucraina che deve essere messa sotto pressione o convinta ad andare al dialogo per i negoziati di pace, ma è la Russia che non è pronta a farlo. E questa è la prima cosa. Secondo punto, non credo che a prescindere dall’accordo che si potrà raggiungere ci sarà un riconoscimento automatico a livello formale, legale e politico che alcuni territori ucraini occupati dai russi diventeranno formalmente parte della Russia. Abbiamo diversi precedenti simili nella storia e si tratta di conflitti congelati, abbiamo la Georgia, la Moldavia, la Corea divisa da oltre 70 anni, abbiamo l’esempio della Germania, fino al 1989 divisa in due Stati, ci sarebbero molte cose da analizzare. E infine, credo che qualunque sarà l’accordo debba essere raggiunto sempre e comunque alla presenza dell’Ucraina e dell’Europa. Non si può parlare di accordi di pace senza l’Ucraina nella stanza. Per quanto riguarda la tempistica, il presidente Trump ha già detto che la sua amministrazione ha riconosciuto che non avverrà così velocemente e credo che questo sia già un buon inizio. Riconoscere la complessità del problema, lavorarci, coinvolgere alleati e amici in questo processo è sicuramente il giusto approccio, ma ripeto: molto dipende dalla Russia. E abbiamo visto che le autorità russe non hanno ancora detto di essere disposte a discutere questi problemi, al contrario stanno tornando sul loro vecchio ultimatum anche se è ancora prematuro per dirlo, vedremo. Si parla di un possibile incontro tra i presidenti Trump e Vladimir Putin, che cosa si aspetta da un tale incontro? Se un tale incontro aprisse la strada a una sorta di accordo di pace o processo politico – ma ribadisco con la presenza dell’Ucraina – allora sarebbe un inizio. C’è un vecchio detto che dice: è sempre molto facile lanciare una guerra, ma è sempre difficile farla finire. Penso che ora ci troviamo proprio in questo momento.

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