Trump, l'uomo-re contro tutto e tutti

A Washington D.C., lunedì, all'improvviso le bandiere a stelle e strisce sono salite fino in cima ai pennoni. Negli ultimi giorni, come da protocollo, erano a mezz'asta per la morte dell'ex Presidente Carter. Qualcuna per la verità è rimasta giù, riottosa per via delle carrucole bloccate dal ghiaccio. Donald Trump aveva appena firmato un ordine esecutivo ad hoc: ora l'insediamento di un presidente sospende un lutto nazionale in corso. Una piccola grande cosa che dà il senso della giornata. L'uomo che volle farsi re alla fine c'è riuscito. Contro tutto e tutti. Il diretto interessato dice che a volerlo è stato Dio, nientemeno: "in Pennsylvania mi ha salvato perché io salvassi il Paese". Un'investitura dall'alto celebrata dal basso, con la colorata folla del popolo MAGA che dopo ore in fila al gelo è riuscita ad assistere alla parata finale, all'interno della Capital One Arena. L'incoronazione, però, è avvenuta prima, a Capitol Hill, nelle stesse sale oltraggiate quattro anni fa dai rivoltosi del 6 gennaio 2021. A voler essere ottimisti si può dire che il golpe è fallito e Trump ha dovuto passare per le elezioni per tornare alla Casa Bianca. A voler essere pessimisti, quello del 20 gennaio 2025 è solo il capitolo finale di un percorso iniziato quattro anni fa, e i ribelli del “Jan 6” - che Trump grazia e definisce ostaggi - alla fine hanno avuto successo. La liturgia è salva: Biden che accoglie Trump alla Casa Bianca, il percorso insieme verso il Campidoglio, il giuramento con tutti i crismi. Ma è un rito vuoto, se la fede è persa. Biden non si fida e firma una serie di grazie preventive per mettere al riparo chi potrebbe finire nel mirino di Trump. Tra i beneficiari figurano i parenti più stretti del Presidente uscente. Quello entrante, nel frattempo, pronuncia il giuramento, e a molti non sfugge che è lo stesso giuramento infranto alla fine del primo mandato. Facile perdere la fede nella democrazia se i valori comuni vengono meno, se il rispetto dell'avversario è condizionato, se ogni presidente passa la spugna su quanto fatto dal predecessore. Il discorso pronunciato da Trump ha toni durissimi. Scopriremo in seguito che il Presidente, frenato dal vice Vance, avrebbe voluto colpire con forza ancora maggiore. In genere gli interventi scritti per il giorno dell'inaugurazione volano alto, puntano sugli ideali profondi e condivisi, lanciano appelli per l'unità del Paese. Quello di Trump, no. Il Presidente ha descritto un'America allo sbando, vessata dal "traditore" Biden e divenuta lo zimbello del mondo. "E' il giorno della liberazione", assicura. I toni del discorso sono quelli di un comizio e sorprendono più dei contenuti. Gli ordini esecutivi annunciati e poi firmati, infatti, ricalcano le promesse più volte ribadite dal Presidente: viene dichiarata l'emergenza nazionale al confine con il Messico, e la decisione è analoga sul fronte dell'immigrazione. Trump dice di voler scatenare la potenza petrolifera americana, e nel frattempo cancella le scelte di Biden in tema di auto elettriche. Trump firma, firma e poi firma ancora. Ironia della sorte, lo fa con delle Sharpies, le stesse che, secondo i fanatici del complotto destrorso, hanno consentito ai democratici di barare alle elezioni del 2020. Trump è brusco ma chirurgico nella volontà di smantellare tutto ciò che ricorda i democratici. Il bisturi rimuove le politiche di genere volute dai democratici, così come quelle su diversità, equità e inclusione. Gli Stati Uniti usciranno - di nuovo - dagli Accordi di Parigi sul clima. Per i repubblicani le promesse sono mantenute, ma non è detto che tutti i desideri si avverino: ci sono di mezzo i giudici, i diritti degli stati, le difficoltà logistiche e i limiti del budget. Lo stop alla cittadinanza concessa ai bambini nati in America da cittadini stranieri è in contrasto con il Quattordicesimo Emendamento: difficile che passi prima di un violento scontro giudiziario. Le velleità di conquista di Trump risparmiano per questa volta Canada e Groenlandia, ma sul Canale di Panama il Presidente parla esplicitamente di espansionismo territoriale. Trump dice di voler guardare al futuro, alla golden age che inizia, ma il suo discorso è pieno di riferimenti d'altri tempi, dal presidente McKinley al destino manifesto. Ad ascoltare il discorso, e le sue citazioni vintage, ci sono anche i leader della cyber America, i paperoni delle big tech capitanati da Elon Musk. Centinaia di miliardi di dollari appoggiati sulle sedie della Capitol Rotunda. Non tutti li amano nel mondo conservatore: c'è chi, come Steve Bannon, teme di liberarsi da un élite solo per consegnarsi ad un'altra. E' una piccola crepa nel solido muro dell'edificio trumpiano. Una crepa pressoché invisibile nel giorno del trionfo.

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