Come la guerra tecnologica alla Cina unisce Trump e Biden

La fine del 2024 sta portando con sé un inasprimento della guerra tecnologica tra Cina e Stati Uniti, combattuta a colpi di sanzioni, controlli all’export, dazi sulla scia di una strategia che ha unito le amministrazioni di Donald Trump e Joe Biden. Gli Usa mirano a fare della corsa all’innovazione di frontiera, soprattutto nel campo dell’intelligenza artificiale e del calcolo quantistico, un fattore di rafforzamento della loro leadership economica e tecnologica su scala internazionale. La Cina, sulla scia di vasti programmi d’investimento come il progetto Made in China 2025 varato da Xi Jinping quasi un decennio fa, ha negli ultimi anni fatto passi da gigante sull’innovazione tecnologica. Negli anni si è creato un sistema ibrido, che vede, da un lato, gli Usa dipendere da molte filiere di materie prime e dall’assemblaggio a basso costo e alta qualità di dispositivi elettronici di base che la Cina può garantire e Pechino, dall’altro, incorporare in molti suoi dispositivi industriali e militari prodotti concepiti dall’alta tecnologia americana e usare diversi macchinari avanzati nei suoi impianti di produzione di processori e altri asset. Guerra tecnologica a tutto campo su chip e AI La Cina vuole continuare il suo percorso di crescita per fare dello sviluppo tecnologico un fattore di competitività solido e duraturo della sua economia e rafforzarsi tra le grandi economie della terra in un contesto in cui molti settori trainanti della Repubblica Popolare, come le costruzioni, hanno il fiato corto. Gli Stati Uniti, invece, intendono tarpare le ali alla Cina per consolidare il vantaggio competitivo acquisito e nell’ultimo biennio hanno focalizzato sui microchip, i macchinari per la loro produzione e i software più avanzati che abilitano l’intelligenza artificiale l’attenzione, promuovendo un’estensione della lista dei prodotti il cui export era vietato in Cina e vietando il passaggio oltre il Pacifico di tutte quelle tecnologie potenzialmente a uso duale, civile e militare. Il braccio di ferro è tornato a tener banco negli ultimi mesi, in cui da un lato l’uscente Biden e Xi discutevano dello status di un rapporto di rivalità geopolitica che nessuno dei due aveva interesse a render conflittuale e dall’altro gli apparati si confrontavano a colpi di sanzioni e ritorsioni. A inizio dicembre Washington ha introdotto nuovi controlli sull’export, mirati a limitare la capacità della Cina di sviluppare semiconduttori avanzati. Le restrizioni includono un inasprimento sulle spedizioni di strumenti per la produzione di chip, come i macchinari di litografia prodotti negli Usa dal colosso olandese Asml, e un divieto di esportazione di chip di memoria avanzati, cruciali per l’hardware legato all’intelligenza artificiale, come quelli progettati da Nvidia. Pechino ha risposto vietando l’invio agli Usa di minerali e metalli essenziali per la produzione di chip, come gallio e germanio, e avviando un’indagine su Nvidia per presunte violazioni della legge antitrust cinese. La sfida sino-americana sta gradualmente condizionando l’intera filiera tecnologica, da un lato facendo consolidare negli Usa gli investimenti di molti colossi asiatici che mirano a differenziare la produzione tradizionalmente localizzata in Cina e dall’altro spingendo Pechino a consolidare le filiere interne per componentistica e macchinari avanzati, in un processo che sta garantendo in particolare un boom degli investimenti e degli affari del principale colosso tecnologico del Paese, Huawei. L'inchiesta Usa sulla Cina L’ultima mossa statunitense è stata l’apertura da parte del Dipartimento del Commercio di un’indagine sui chip cinesi ai sensi della Section 301 dell’Us Trade Act, accusando Pechino dell’uso in di “mezzi anti-competitivi e non di mercato in forma massiccia”, tra cui sussidi alle produzioni nazionali e contingentamento delle importazioni, volti a manipolare il commercio di questi strategici componenti. “Alcuni analisti stimano che la Cina sia sulla buona strada per raddoppiare la sua capacità di produzione di chip entro la fine del decennio, rafforzata dai sussidi di Pechino”, nota il Financial Times, aggiungendo che “tra i possibili esiti di un'indagine ai sensi della Sezione 301 figurano restrizioni all'importazione di altri prodotti tecnologici americani o nuove tariffe sulle spedizioni dalla Cina di tipi di chip utilizzati nelle automobili, negli elettrodomestici e nei dispositivi di consumo”. A dover prendere la decisione finale, a indagine conclusa, sarà la seconda amministrazione di Donald Trump, che su questo fronte agirà in continuità col suo predecessore. Biden e Trump: sulla cina e la tecnologia, una visione comune Sulla tecnologia, Trump e Biden hanno avuto il comune obiettivo di tarpare l’ascesa cinese. Tra il 2017 e il 2021, nel suo primo mandato, Trump ha spinto in particolar modo contro la tecnologia 5G cinese, rappresentata da attori come Huawei e Zte, indicata come un cavallo di Troia di possibili influenze dell’intelligence della Repubblica Popolare per acquisire illecitamente informazioni negli Usa nei Paesi alleati. Ora, Biden lascerà al Trump 2.0 una campagna di ampio contenimento contro l’industria cinese dei semiconduttori, in particolare quella orientata alla produzione dei chip in grado di alimentare la potenza di calcolo necessaria per sviluppare l’intelligenza artificiale. La leadership americana sulla tecnologia è un asset indispensabile per qualsiasi presidente, e la logica bipartisan che accomuna democratici e repubblicani è chiara e risponde a un imperativo fondamentale: fermare la Cina e evitare il sorpasso sugli Usa nell’alta tecnologia. Con buona pace delle regole del libero commercio di cui si fanno alfieri, su questo dossier gli Usa privilegiano le logiche della sicurezza nazionale, in un contesto che vede Pechino rispondere colpo su colpo mentre sul fronte dell’innovazione la globalizzazione esce profondamente annacquata.

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