Ucraina, il 2025 sarà l’anno delle trattative?

Il 2024 in via di conclusione è stato l’anno più difficile per l’Ucraina che dal 24 febbraio 2022 combatte l’aggressione della Federazione Russa. Mese dopo mese, settimana dopo settimana la capacità di resistenza del Paese guidato da Volodymyr Zelensky è stata messa alla prova dalla manovra logorante delle truppe di Mosca, che a prezzo di sensibili perdite hanno in diversi settori occupato capisaldi strategici come Avdiivka e Vuhledar nel Donbass. L’obiettivo della Russia è ora quello di completare l’occupazione delle regioni rivendicate come parte del suo territorio e fiaccare la capacità di resistenza di Kiev, che per ammissione dello stesso presidente non è più quella di un tempo. Il 2025 in arrivo è destinato a essere, per molti osservatori, l’anno della verità. La sensazione predominante è che possa, in qualche modo, portare a una forma di cessate il fuoco. Vi concorrono molti elementi: l’ammissione di Zelensky che le regioni sottratte illegalmente all’Ucraina dalla Russia, Crimea e buona parte del Donbass, non sono recuperabili per via militare e dovranno essere oggetto di negoziato; le parole di Vladimir Putin alla conferenza stampa di fine anno circa il fatto che la Russia ha ottenuto “quasi tutti i suoi obiettivi” in Ucraina. Soprattutto, la prospettiva che il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump porti con sé una forte spinta degli Stati Uniti a negoziare la fine della guerra. Il Fmi ipotizza la fine del conflitto nel 2025 Il Fondo Monetario Internazionale è stato di recente il primo organismo internazionale a incorporare una previsione di massima sulla fine del conflitto in Ucraina in una sua analisi di scenario. Studiando le prospettive dell’economia di Kiev, il Fmi ha sviluppato un modello macroeconomico fondato su uno scenario di base che prevede la fine della guerra nel 2025 e su uno peggiorativo che ne ipotizza il prosieguo fino alla prima metà del 2026. L’organizzazione di Washington inizia a ragionare non tanto sul “se” ma sul “quando” la guerra arriverà a una conclusione. Ma anche se dovesse esserci un cessate il fuoco, questo non vorrà dire che la questione geopolitica dell’Ucraina sarà risolta né che la stabilità sarà riportata in Europa orientale. Questioni aperte Per il futuro dell’Ucraina, sono almeno tre le domande critiche: è realistico pensare a un prosieguo dell’appoggio europeo qualora gli Usa di Trump optassero per accelerare la fine del sostegno e l’apertura alle negoziazioni? Quanto potrà contare sul fronte politico la volontà di Kiev? E infine, su che basi è possibile, ammesso che ne abbia intenzione, negoziare con Putin? La risposta a queste domande sarà vitale per capire il potere negoziale di Zelensky e le prospettive su cui costruire un’Ucraina post-bellica. In questo contesto, la sensazione è che una Russia cui non mancano elementi di fragilità possa uscire sostanzialmente avvantaggiata da una possibile fine del conflitto più per l’emersione delle fragilità dell’Ucraina e il disimpegno dei suoi alleati che per una vera supremazia sul campo di battaglia. Del resto, dal 2022 a oggi la Russia non ha ancora concluso la conquista dell’intero Donbass, controlla non più di un quinto di Ucraina e ha le truppe di Kiev ancora stanziate in ciò che resta della sacca di Kursk sul suo territorio. I Paesi occidentali sanno però che una rottura del fronte, nel 2025, non sarebbe da escludere se per l’Ucraina si consumasse la tempesta perfetta: disimpegno occidentale, aumento delle problematiche di reclutamento e diserzione, crollo del morale dell’esercito, rifiuto di Putin a trattare. Questo scenario-limite, altamente improbabile ma non impossibile, è ciò che i Paesi che sostengono Kiev dovranno evitare qualora avranno il desiderio di porre fine alla guerra. Le garanzie di sicurezza per l’Ucraina Il vero nodo di discussione è sulle garanzie di sicurezza da offrire a Kiev in una prospettiva di ricostruzione e dopoguerra. Da un lato, Zelensky ha sempre indicato l’ingresso nella Nato e nell’Unione Europea come condizioni necessarie per dare all’Ucraina sicurezza e stabilità negli anni a venire. Mark Rutte e Ursula von der Leyen hanno più volte rassicurato Kiev in tal senso, ma non si sono ancora fatti passi concreti. Parimenti, Putin vede l’ipotesi come fumo negli occhi e potrebbe far pesare il vantaggio sul campo come elemento di condizionamento. Appare sempre più palese che ad avere il pallino del gioco in mano sarà, dal prossimo 20 gennaio, il presidente eletto degli Usa Donald Trump: alla Casa Bianca sarà in capo capire se le prospettive di un negoziato ci sono e, soprattutto, in che misura la voce ucraina potrà essere portata al tavolo delle trattative. Il piano di pace pensato dall’inviato nominato da Trump, Keith Kellogg, in quest’ottica pende più dalla parte di Putin che da quella di Zelensky, prevedendo l’assegnazione alla Russia dei territori contesi e il congelamento dell’adesione dell’Ucraina alla Nato per 10-20 anni in cambio di fondi per la ricostruzione. Un punto di partenza che però dovrà essere testato alla prova della diplomazia: al di là dei proclami, la corsa per porre fine alla guerra che da tre anni incendia l’Europa orientale sarà un processo complesso in cui nulla è da dare per scontato in partenza.

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