Usa, primi contatti ufficiali con al-Jolani. Cosa c’è sul tavolo tra Washington e Damasco

Gli Usa compiono i primi passi per stabilire rapporti col nuovo governo siriano. Nella giornata odierna, una delegazione ufficiale di alti funzionari del Dipartimento di Stato si è recata nel Paese mediorientale per discutere con le nuove autorità dei futuri rapporti tra Washington e Damasco. A guidare la missione Barbara Leaf, la più alta funzionaria del Dipartimento di Stato che si occupa di Medio Oriente ed ex ambasciatrice negli Emirati Arabi Uniti, alla quale si aggiungono Roger Carstens, che dal 2020 è l’inviato speciale degli Stati Uniti per le questioni inerenti gli ostaggi americani, e Daniel Rubenstein, che nell’uscente amministrazione di Joe Biden ha avuto una delega speciale agli affari siriani. La missione porterà i diplomatici Usa a incontrare Abu Mohammad al-Jolani, leader di Hay’at Tahrir al-Sham, la principale formazione tra i gruppi ribelli che tra fine novembre e inizio dicembre hanno rovesciato il regime di Bashar al-Assad, oltre al primo ministro Mohammad al-Bashir. La missione diplomatica Usa alla prova di al-Jolani Su mandato di Biden e del segretario di Stato uscente Tony Blinken Leaf e i suoi colleghi dovranno verificare se per gli Usa esistono i margini di manovra per stabilire relazioni ufficiali col nuovo esecutivo. Da settimane al-Jolani spinge per veder revocate le sanzioni che gli Usa e gli alleati hanno imposto nel 2011 alla Siria contro regime di Assad e per la rimozione di Hts dall’elenco delle organizzazioni terroristiche di Washington e dei partner della superpotenza. Blinken ha di recente dichiarato che sarà fondamentale evitare di isolare la Siria, pena una sua ricaduta nelle morse del jihadismo "per affrontare alcune delle sfide alla sicurezza, che si tratti di armi chimiche o di gruppi come l'Isis", contro cui le forze armate americane sono intervenuti nei giorni in cui il regime di Assad si sgretolava. Appare sempre più chiaro che una forma di dialogo con al-Jolani e i suoi sia necessaria. Da un lato, gli Stati Uniti non possono permettersi che un Paese strategico come la Siria precipiti nuovamente nella guerra civile, mirano a blindare i loro principali alleati, le Syrian Democratic Forces a maggioranza curda, vogliono capitalizzare l’arretramento di Paesi rivali come Russia e Iran, grandi sconfitti della caduta di Assad. Dall’altro, devono muoversi con cautela bilanciando aperture e richieste di normalizzazione a Hts e agli altri gruppi guardando al contempo al fatto che altri Paesi si sono mossi in anticipo. Tra questi spicca in particolar modo un alleato di Washington, la Turchia, prima sostenitrice delle forze anti-Assad e nemica delle Sdf, che non ha esitato a riconoscere il nuovo governo e a inviare a Damasco il ministro degli Esteri Hakan Fidan. Ankara è ad oggi avanti rispetto a Washington e ai Paesi europei nell’approccio politico alla Siria post-Assad. L’imprevedibilità della Turchia e il fatto che sia in rotta di collisione con le Sdf sostenute da Washington lasciano agli Usa diversi dubbi sul fatto che Recep Tayyip Erdogan voglia un Paese unito e stabile ai suoi confini. Si apre dunque una riflessione su cosa Usa e partner occidentali possono fare per non lasciare un vuoto d’influenza a Damasco. La sfida di trovare un terreno comune con Damasco Secondo Agata Demarais dell’European Council of Foreign Relations iniziare la discussione revoca delle sanzioni a Damasco potrebbe apparire la miglior leva politica a disposizione tanto degli Usa quanto dell’Unione Europea per riportare la Siria a un confronto costruttivo con l’Occidente. Washington e Bruxelles, nota Demarais, “dovrebbero quindi basarsi sulla loro collaborazione di successo sulle sanzioni legate alla Russia e stilare un calendario congiunto di traguardi che il nuovo regime siriano dovrà rispettare”. Secondo la ricercatrice, “tra le altre cose, questo calendario dovrebbe includere lo svolgimento di elezioni libere e giuste e il continuo rispetto dei diritti umani.”, in modo tale che “quando Damasco raggiungerà questi traguardi, Bruxelles e Washington dovrebbero rispettare la loro parte dell'accordo e procedere con l'alleggerimento delle sanzioni”. La convinzione dominante è che con al-Jolani e i suoi si debba, inevitabilmente, parlare, ma chiaramente passare dal riconoscimento di un gruppo come Hts quale formazione terroristica a una legittimazione diplomatica a tutto tondo non è un processo immediato e servono garanzie chiare su entrambi i fronti. Trovare un terreno comune di dialogo non sarà facile, ma la missione del dipartimento di Stato prova proprio a gettarne le basi. Nel frattempo, gli Usa si consolidano in Sira anche su un altro fronte: il Pentagono ha raddoppiato da 900 a circa 2mila truppe il contingente militare nel Paese. Si punta l’Isis ma si vuole anche mandare un messaggio della volontà degli Stati Uniti di non trascurare il dossier siriano, puntando soprattutto sulla lotta a organizzazioni come l’Isis. Sarà quest’ultima una possibile chiave di riavvicinamento tra Washington e Damasco? Non è da escludere, in una fase in cui la Siria torna crocevia diplomatico dopo esserlo stato, per oltre un decennio, solo sul fronte militare.

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