Romania, la destra che vince anche perdendo

La destra populista e nazionalista vince anche quando perde, come in Romania. E questo nonostante la Corte costituzionale abbia annullato il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali del 24 novembre per presunte ingerenze straniere sul voto, in primis della Russia, che avrebbe orchestrato una vasta campagna social a favore del candidato di estrema destra Georgescu, arrivato primo. Tutto da rifare dunque, con il ballottaggio dell'8 dicembre che è stato annullato . Eppure l’ondata sovranista, nazionalista, identitaria è comunque arrivata fino al fianco più orientale della Nato. In Romania, con due elezioni in due settimane, primo turno delle presidenziali ed elezioni legislative per il rinnovo del parlamento, un dato sembra consolidato: la destra conquista in entrambi i casi almeno un terzo dei voti. E soprattutto riesce a mettere i propri temi al centro del dibattito politico, dalla protezione dell’identità nazionale alla difesa dei valori cristiani, dai pericoli dell’economia a quelli dell’immigrazione. IL PRIMO TURNO DELLE PRESIDENZIALI Il vero shock è arrivato al primo turno delle elezioni presidenziali, quello annullato dalla decisione della Corte costituzionale, con la vittoria del candidato di estrema destra Calin Georgescu, ex membro fuoriuscito del partito Alleanza per l’unione dei Romeni , che correva però da indipendente. Georgescu da completo underdog ha ottenuto oltre il 22,9% dei voti con una campagna elettorale condotta soprattutto sui social, in particolare su Tik Tok dove diffonde messaggi semplici ed emozionali, mostrandosi in chiesa o mentre pratica judo, sul modello di Donald Trump, riuscendo a porsi come il singolo che contrasta le élite. Al primo punto della sua agenda ci sono slogan facilmente comprensibili dalle masse e che per la maggior parte possono essere riassunti con un facilissimo “Romania first”. Se la Corte costituzionale non avesse annullato il voto Georgescu sarebbe andato al ballottaggio non con il primo ministro Marcel Ciolacu, leader dei socialdemocratici, che governa il Paese e che ha ottenuto il 19.15%, ma con Elena Lasconi, leader del partito centrista e filo europeo Unione per salvare la Romania che lo ha superato con il 19.17% delle preferenze. Ma l’intero processo elettorale adesso è da rifare, primo e secondo turno. Sta di fatto che Georgescu quei voti li ha presi, anche se a quanto pare anche con l’aiuto della macchina propagandistica di Mosca. In passato Georgescu aveva definito Putin, anche lui judoka, uno dei pochi grandi leader del mondo e sebbene non abbia mai detto direttamente che appoggia la Russia nella guerra contro l’Ucraina ha invece sostenuto che la Romania dovrebbe aderire alla “saggezza russa”. Soprattutto, Georgescu ha apertamente criticato il sostegno militare della Romania a Kiev, promettendo di interromperlo. Un modo neanche troppo sottile di strizzare l’occhio a Mosca. Che lo avrebbe dunque ripagato con una campagna social feroce ora bloccata dalla decisione della Corte. Dopo il primo turno delle presidenziali il voto per lui è stato letto soprattutto come un voto contro l’establishment che governa la Romania dall’indipendenza ad oggi, contro i partiti al potere e contro il loro modo di gestire l’economia. A queste motivazioni però, secondo i suoi rivali e soprattutto secondo la Corte costituzionale, si è aggiunto l’aiuto esterno russo. Georgescu sarebbe diventato virale sui social grazie all’azione di influencer pro russi e follower falsi. Tik Tok ha negato le accuse ma decine di migliaia di account falsi o anonimi sono stati eliminati con il sospetto di aver alterato il dibattito pubblico per le presidenziali. Evidentemente, se la Corte costituzionale, con una decisione senza precedenti, ha deciso di annullare il voto, significa che il dubbio di intromissioni esterne sul processo elettorale, e in particolare di intromissioni russe, era molto più che un sospetto. LE ELEZIONI POLITICHE Ma se il voto per Georgescu poteva essere derubricato come un voto di protesta e anti sistema, le elezioni legislative hanno invece fugato ogni dubbio su dove stia andando l’elettorato romeno. Le elezioni politiche sono infatti ancor più significative di quelle presidenziali perché, al di là dei poteri del presidente, la guida del governo del paese è affidata al primo ministro, espressione della maggioranza parlamentare. In questo caso, il 1 dicembre hanno vinto i socialdemocratici del primo ministro Marcel Ciolacu, con il 22,4 %, un dato che è però in drammatica discesa rispetto al 32.5% delle ultime elezioni. Dieci punti percentuali in meno che tradiscono la grande insoddisfazione dei romeni per la gestione economica del Paese. A crescere enormemente è stato invece il partito di estrema destra Alleanza per l’unione dei Romeni con il 17,8 % dei voti, quello che fino a due anni fa era il partito di Georgescu, che ha raccolto il doppio rispetto alle ultime elezioni quando aveva solo l’8,5%. Accanto a loro siederanno i deputati di altri due partiti di estrema destra, Sos Romania e il Youth Party, rispettivamente con il 7,2% e il 6,3% dei voti. In sintesi, l'estrema destra ha conquistato un terzo dei seggi parlamentari, il 31%, in linea con quanto ottenuto dai candidati ultranazionalisti e filorussi al primo turno delle presidenziali quando Georgescu e il candidato del suo ex partito AUR hanno ottenuto il 36% dei voti. Ciò nonostante la destra non andrà al governo, perché sia il partito liberale, che è già al governo con i socialdemocratici e ha ottenuto il 14,3% dei voti che i centristi di Elena Lasconi verosimilmente formeranno una coalizione con i socialdemocratici garantendo così l'allineamento internazionale della Romania, l'adesione alla Nato e all'Unione europea oltre che l'appoggio alla resistenza di Kiev contro l'invasione russa. Un appoggio che finora è stato incrollabile, anche in virtù degli oltre 500 km di confine tra Romania e Ucraina. L’AVANZATA DELLA DESTRA Ma il dato politico resta. Come è accaduto e sta accadendo in molti paesi europei, ma non solo, la destra avanza. Dalla Francia alla Germania, dalla Slovacchia all’Ungheria di Orban. Quasi ovunque con le stesse modalità e con gli stessi strumenti. Non è un caso che dall'Italia sia arrivato l'endorsment a Gergescu da parte del generale Vannacci, che nella sua retorica preme gli stessi tasti. Sono i tasti della propaganda populista. Il risultato della destra romena, votata da un terzo degli elettori, mostra in particolare la forza della propaganda anti occidentale e anti europea che, prima ancora della politica, combatte una battaglia per conquistare la mente delle persone, usando i social media come strumento primario. È un fenomeno trasversale e senza limiti geografici. Lo fa Trump con il suo social Truth, ma lo fa anche il Bjp, il partito del premier Modi in India, così come il partito di Fico in Slovacchia, il Front National in Francia o il partito di Orban in Ungheria. Adesso l'ondata di destra nazionalista e identitaria ha toccato i limiti esterni della Nato ed è stata rimbalzata, perché non andrà al governo. Ma il suo effetto si farà sentire ancora in Romania e altrove. Perché le voci dei partiti populisti e anti establishment trovano terreno fertile dove l’inflazione è alta, come in Romania, ma in generale tra tutti quelli che sentono i morsi di una economia che arranca e di istituzioni internazionali come l’Unione europea percepite come distanti dalle esigenze della popolazione. E nessuno finora, a parte la Corte costituzionale della Romania, sembra aver trovato l'antidoto alla loro retorica semplice ma elettoralmente quasi inarrestabile.

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