Northvolt, il tracollo del campione europeo delle batterie elettriche

Era il 2021 quando Northvolt, fondata sei anni prima dallo svedese Peter Carlsson e dall'italiano Paolo Cerruti, annunciava la produzione in Svezia, nella fabbrica di Skelleftea, della prima batteria elettrica interamente progettata e realizzata sul suolo europeo. Tre anni dopo la realtà parla di un gruppo che, nonostante una somma di ordini pari a 50 miliardi di euro, la presenza nel capitale di colossi come Volkswagen e Goldman Sachs , ingenti finanziamenti pubblici e privati, fatica a stare sul mercato. E oggi necessita di almeno 1 miliardo di dollari per proseguire l’attività ordinaria fortemente ridimensionata a luglio quando - dopo la cancellazione di un maxi-ordine da parte di Bmw siglato nel 2020 e dal valore di 2 miliardi di euro - la crisi dell’azienda si è palesata. Gli osservatori sono concordi nell’affermare che la vicenda incarna in sé la sfida che il continente deve affrontare per emanciparsi dalla dipendenza cinese e asiatica. Finanziamenti non concretizzati Northvolt non è mai diventata pienamente competitiva perché ha sfidato un settore in cui la leadership cinese è solida, ricorda il Financial Times, sottolineando come per il gruppo “il problema più grande è rimasta l'incapacità di aumentare la produzione a Skelleftea, dove l'anno scorso ha prodotto meno dell'1% delle batterie che la sua capacità consentiva”. Questo ha creato di una serie di conseguenze sfavorevoli: un impianto che produce ad una frazione del suo potenziale impatta pesantemente in termini di costi e non permette all’azienda di restare sul mercato e soddisfare la domanda. Il fallimento di Northvolt sottolinea i limiti delle politiche industriali europee, evidenziando l’incapacità di tradurre visioni strategiche in realtà economiche solide. Da qui gli ordini stralciati da parte di Bmw e l’interruzione di altri investimenti programmati del gruppo: “Northvolt stava presto pianificando una seconda fabbrica di batterie svedese e stabilimenti in Germania e Canada, oltre a un impianto di stoccaggio di energia in Polonia e attività separate di riciclo delle batterie esaurite in Svezia”, aggiunge il Ft. Investimenti rimasti lettera morta che hanno costretto il gruppo guidato da Carlsson a non poter usufruire dei sussidi che gli erano stati promessi: 1,5 miliardi di euro dal governo svedese, 902 milioni da quello tedesco e 313 milioni dalla Banca Europea degli Investimenti, per un totale di 2,7 miliardi di euro di aiuti non concretizzati. Tutto questo mentre il debito dell'azienda, che non superava i 120 milioni di euro di fatturato, è esploso fino a quasi 6 miliardi. La crisi di Northvolt Colossi cinesi come Catl e Byd hanno saturato il mercato portando prodotti di qualità a prezzi molto più abbordabili, e a suo modo la crisi di Northvolt sulle batterie elettriche risponde alle stesse ragioni di quella di Intel sui semiconduttori: l'idea di rispondere all'ascesa dell'Asia reinsediando nei Paesi occidentali tutti i processi produttivi nei settori strategici, anche quelli a più basso rapporto tra il valore aggiunto e il costo sostenuto, non aiuta alla competitività dei Paesi in cui questi processi si localizzano. E così Northvolt dopo un iniziale entusiasmo ha dovuto fare dietrofront, così come Intel ha rinunciato ai piani di investimento in Europa e negli Usa di fronte alla dura concorrenza di colossi come Tsmc e Samsung sulla manifattura dei microchip. La crisi del gruppo svedese è anche una dura lezione per il Vecchio Continente e le sue ambizioni di autonomia strategica nel decisivo settore della transizione energetica in cui l’Ue è impegnata con il Green Deal. La bancarotta di Northvolt e il suo concreto rischio di fallimento si sommano alla crisi dell’automotive, alla scarsa penetrazione dell’elettrico nei mercati e alla fragilità del continente schiacciato tra Cina e Stati Uniti e incapace di far emergere i suoi campioni. Al contempo, l’Europa è sotto pressione su quella che un tempo era la sua eccellenza, la capacità di creare virtuose economie di scala industriali e prodotti di punta, che ormai faticano a trovare mercato in un contesto di concorrenza sempre più agguerrita.