Elezioni europee, quali sono i temi caldi sul tavolo dell'Unione europea?
MondoDifesa e politica estera, ma anche strategie industriali comuni, poi i trattati: quali sono le questioni rilevanti che dovranno essere affrontate dopo le elezioni di giugno? L'analisi di Renato Coen nel nostro format video "Enter"
L’Europa diventerà uno Stato Unitario, tipo gli Stati Uniti? Probabilmente mai, o non entro i prossimi decenni. Il dibattito che infiamma le elezioni europee però ha come tema centrale l’opportunità o meno che l’Unione Europea diventi sempre più integrata. Cioè che i paesi membri dell’Ue capiscano che, da un punto di vista economico, politico e strategico, soli contano poco o niente.
Le crisi degli ultimi anni hanno dimostrato che un singolo Stato europeo non è in grado di difendersi da solo in caso di minaccia alla sua sicurezza, non è competitivo con le altre grandi economie mondiali, ed è destinato ad un progressivo, e neanche tanto lento, declino.
Per evitare che il continente all’avanguardia nei diritti umani e per qualità della vita retroceda progressivamente nelle gerarchie mondiali, diversi leader, studiosi e intellettuali europei hanno individuato alcuni settori nei quali cui l’Unione Europea dovrebbe lavorare per diventare più “unita”.
Difesa e confini: cosa dovrebbe fare l'Europa
Il primo, almeno a giudicare dal dibattito in corso, è la difesa. Se l’Unione Europea vuole difendere i propri interessi, i propri confini e l’incolumità dei suoi cittadini deve riuscire a dotarsi di un sistema di difesa comune. Detto più semplicemente, gli stati membri dovrebbero riunire le proprie forze armate sotto un unico comando, e le proprie industrie di difesa dovrebbero produrre armamenti o sistemi in maniera coordinata per non sprecare risorse e per ottimizzare le capacità industriali.
Di fatto l’Europa occidentale che dal dopo guerra ad oggi è andata man mano allargandosi politicamente, ha delegato la propria difesa agli Stati Uniti. Ma Washington ha dimostrato negli scorsi anni di non essere sempre un alleato totalmente devoto. O meglio, la possibile rielezione di Trump alla Casa Bianca, renderebbe gli alleati europei molto poco sicuri dell’affidabilità dell’America. Del resto, i decenni passano, ed è anche comprensibile che le priorità e le strategie delle grandi potenze cambino. Serve quindi che l’Europa, ormai adulta badi a sé stessa. Ma per costruire una difesa comune europea è indispensabile avere un’unica politica estera che guidi con le sue scelte l’apparato militare. E per avere un’unica politica estera non dovrebbero esserci, come attualmente ci sono, almeno 10 diverse strategie politiche tra i 27 stati Ue.
Del resto, paesi e popoli che hanno storie, lingue, sensibilità e preferenze politiche diverse, hanno inevitabilmente anche divergenze nel modo di leggere e reagire a ciò che accade nel mondo. Chi, quindi, è contrario ad una integrazione politica europea, sottolinea proprio l’innaturalezza e l’impossibilità di trovare una posizione unitaria tra popoli diversi.
Altri invece fanno notare come i popoli europei siano molto più vicini di quanto non sembri, specialmente le nuove generazioni, e spingono per uno sforzo di integrazione che credono possa assicurare maggiore sicurezza e benessere in futuro.
Competitività: servono soldi e strategie comuni?
L’altro pilastro dell’integrazione europea di cui si parla è quello della competitività. Della capacità cioè dell’Ue di essere in grado di competere con le altre grandi potenze economiche. Anche in questo caso c’è chi preme affinché si mettano in comune soldi e strategie industriali. I 27 uniti e non in concorrenza tra loro potrebbero crescere molto di più di come fanno ora. Attualmente, ad esempio, l’Europa è molto indietro nel campo delle tecnologie di ultima generazione come l’intelligenza artificiale, o le telecomunicazioni. Non ha abbastanza materie prime e sta solo ora iniziando a pensare ad una strategia per diventare più autonoma nella produzione di chip e microprocessori.
In questo campo forse, a differenza che nella difesa, potrebbero esser fatti pasi avanti più facilmente, a patto però che sia chiaro da chi e come viene decisa la strategia economica.
La riforma dei trattati europei
E qui si arriva al terzo ed ultimo tema centrale molto discusso. La riforma dei trattati europei. Cioè la riforma delle norme che stabiliscono i poteri e il modo di funzionare delle istituzioni europee.
Chi spinge per più integrazione vuole abolire da ogni decisione il diritto di veto che attualmente ha ogni Stato membro e che blocca spessissimo decisioni largamente condivise. Chi ha paura di delegare troppo a Bruxelles vuole mantenere un processo decisionale più complesso per consentire ai singoli stati di avere più capacità di manovra.
Le riforme, del resto, sono alla base di tutto. Non si può pensare di costruire una vera politica estera, di difesa, ed industriale comune, consentendo ad ogni Stato di mettersi di traverso ogni volta che ne ha voglia. D’altra parte, è interessante che mentre negli Stati all’interno dell’Ue si discute e ci si divide sull’opportunità o meno di fondersi di più o di rimanere autonomi. Appena fuori dai confini dell’Unione, almeno 8 paesi bussano per entrare e hanno iniziato il loro percorso di adesione all’Ue. Sono i paesi dei Balcani occidentali insieme ad Ucraina, Moldavia e Georgia. Questo ultimi tre lo fanno in chiave anti russa. Temono di finire di nuovo sotto Mosca e cercano la loro salvezza in Europa. Gli stati balcanici lo vogliono per motivi economici e storici. E l’Ue, consapevole di non poter lasciare questi paesi in mano all’influenza russa o cinese, ha deciso di aprirgli le porte.
Un allargamento su cui sono quindi quasi tutti d’accordo. Ma che renderà inevitabilmente ancora più complessa la costruzione di un Europa veramente integrata e capace di contare nel mondo come potenza unitaria.