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India, economia in crescita ma i poveri non ne vedono i benefici

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Jacopo Arbarello

Jacopo Arbarello

Il PIl indiano è in forte rialzo da diversi anni, e l'India è ormai la quinta economia al mondo, ma questo non ha ancora portato ad una corposa redistribuzione del reddito. La forbice tra i più ricchi e i più poveri si è invece ulteriormente allargata, con la classe media che fatica ad emergere.

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L’India cresce, come nessun altro grande paese nel mondo, cresce a ritmi vorticosi. Il Pil segna regolarmente un + 7 - 8 % per cento all’anno. L'economia è ormai la quinta al mondo, al pari della Gran Bretagna e il premier Modi promette di portarla ancora più in alto: "Adesso siamo la quinta economia pià grande e proveremo a diventare la terza economia più grande. Speriamo di riuscirci in 3 o 4 anni" ci dice Sudanushu Trivedi, deputato e portavoce del Bjp, il partito di Modi.

Il Pil pro capite è tra i più bassi del mondo

Se si guarda al dettaglio di questa crescita però, il discorso cambia. Se per il Pil i dati sono questi, per il pil pro capite, cioè la ricchezza reale della popolazione, il paese è nei bassifondi di tutte le classifiche. Sotto alla Mongolia, alla Costa d’avorio o all’Angola. Peggio fanno solo diversi paesi africani. Cioè gli indiani non hanno soldi. In questi anni la crescita economica non si è abbastanza redistribuita e il divario tra ricchi e poveri si è ulteriormente acuito. "Abbiamo sempre combattuto con l'aumento della disoccupazione e lo facciamo anche adesso. La crescita indiana finora non è stata inclusiva e non è riuscita finora a tirare fuori le persone dalla povertà più estrema" spiega Yamini Aiyer, ricercatrice che ha lavorato per anni nei più importanti Think tank di New Delhi.

Foto di Jacopo Arbarello

L'opposizione accusa: il governo vuole un capitalismo oligarchico

Per i partiti di opposizione il problema è strutturale e riguarda il governo Modi, iperliberista, che favorirebbe un capitalismo clientelare, oligarchico, in cui alcuni grandi gruppi vicini al governo, come il gruppo Adani, controllano la maggior parte dei settori dell'economia a discapito di un maggiore pluralismo. La ricchezza così si concentrerebbe nelle mani di pochi investitori, con la maggior parte degli indiani che non riescono ad accedere ai benefici della classe media. In realtà la classe media in India si sta creando anche se di certo a ritmi più lenti di quanto ci si potrebbe aspettare con i dati di crescita degli ultimi decenni.

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Le donne spesso ancora escluse dai processi produttivi e dalla leadership

L'altro grande problema dell'economia indiana riguarda le donne, che troppo spesso sono escluse dai processi produttivi e soprattutto dalla leadership delle aziende. Incontriamo Bhawna Batnaghar a Mumbai, di lavoro analizza le aziende migliori che possano avere accesso ai finanziamenti e ci racconta che di 10 mila start up osservate ogni anno appena 50 avranno solo donne nella dirigenza e non più di 200 vedono una donna come cofondatrice: "Il problema con il ruolo della donna nell'economia - ci dice - è innanzitutto culturale, ad esempio in famiglia, tradizionalmente, i discorsi che riguardano il denaro avvengono tra uomini. Ecco iniziare a cambiare le abitudini familiari potrebbe essere un primo passo".

 

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Le aziende che impiegano solo donne 

Spesso però le donne sono usate come forza lavoro. E' il caso di "I was a sari" start up italo indiana, una delle migliaia di aziende che nascono e fioriscono a Mumbai, capitale economica dell'India, come nel resto del paese. Ed è una delle più virtuose tra quelle che abbiamo visitato. Si rivolge ad un pubblico internazionale con partnership autorevoli, punta sul riciclo dei vecchi sari per produrre capi unici di grande qualità e soprattutto conta solo sull’impiego delle donne. Smitha Jyotsna, responsabile marketing dell'azienda, racconta che "tutte le donne che lavorano con noi vengono dalle comunità marginalizzate dell'India, molte prima non lavoravano, erano madri, donne di casa. Adesso hanno un reddito e la loro vita è rivoluzionata in positivo".

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Sempre più aziende investono in India

Punta sulla qualità e a conquistare la ristretta ma sempre più numerosa classe medio alta indiana anche un’altra start up, questa volta nel settore del Rum, tutt'altro genere. Il fondatore, Lalit Kalani, è rientrato apposta dagli Stati Uniti per investire in India: "L'india sta diventando un grande centro manifatturiero e molte aziende stanno trasferendo la propria produzione qui. Tornato dagli Stati Uniti ho visto grandi opportunità di crescita e ho pensato di sfruttarle".

 

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Una forza lavoro a basso costo

Del resto il motivo per cui investire in India è anche semplice. Stipendi bassi, raramente sopra i 3-400 euro, orari di lavoro lunghissimi senza contributi né benefit. Le capacità produttive a queste condizioni sono mostruose. Non tutti sono trattati così ma anche nelle fabbriche dove il trattamento è migliore si lavora a ritmi incessanti, con pochissimi giorni di pausa al mese. La speranza è che presto parte della ricchezza arrivi anche a chi finora è quasi del tutto escluso dai benefici della crescita economica. 

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