Generazione Europa, l'Unione a 20 anni dall’allargamento
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Sono trascorsi vent’anni dal grande allargamento che, il 1 maggio 2004, segnò la crescita dell’Unione europea, portandone i Paesi membri da quindici a venticinque. Oggi si ricorda quell’anniversario che avrebbe gettato luci e ombre sul futuro dell’Unione
Il primo maggio 2004 l’Unione europea accoglieva al suo interno dieci nuovi Paesi, segnando il più grande allargamento della sua storia con il passaggio da quindici a venticinque Stati membri. Fu un ampliamento sotto molteplici punti di vista: geografico, economico, geopolitico e soprattutto un passaggio delicato che, insieme ai vantaggi di un’accresciuta integrazione, ha comportato anche numerose difficoltà riscontrate nel tentativo di uniformare Paesi e realtà diverse tra loro.
L’allargamento “big bang” del 1 maggio 2004
Fino al 30 aprile 2004 l’Unione europea contava quindici Stati membri, tra cui anche l’Italia che ne era stata uno dei fondatori. Il giorno successivo di quell’anno le frontiere dell’Unione si aprirono all’ingresso di dieci nuovi Paesi: Malta, Cipro, Slovenia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania.
Molti di questi appartenevano al blocco dell’est, reduci dall’appartenenza all’Unione Sovietica e al Patto di Varsavia. Alla base di quell’allargamento ci furono due diverse motivazioni, una esterna ed una interna all’Europa, come spiega ai microfoni di Sky Tg24 l’editorialista di Repubblica Andrea Bonanni: “Il motivo esterno proveniva dagli Stati Uniti, allora sotto l’amministrazione dei neoconservatori, che nell’ampliamento da un lato vedevano la possibilità di ancorare i nuovi Paesi all’Occidente, allontanandoli da Mosca; dall’altro auspicavano un rallentamento del processo di integrazione europea che, come avevano previsto, si è effettivamente verificato”. A ciò si affiancò, da parte dell’Ue, il dovere morale di una riunificazione del continente: “L’Europa ha vissuto cinquant’anni come un Paese spaccato dalla cortina di ferro e, dopo la caduta del comunismo e dell’Unione sovietica, sentiva la responsabilità di una riunificazione e di una maggiore stabilità”.
Luci e ombre dell’allargamento
Non sempre l’ampliamento è stato sinonimo di integrazione e di crescita positiva e, al contrario, spesso ha comportato delle difficoltà. Caso emblematico è quello rappresentato, per esempio, dall’Ungheria di Viktor Orban, un Paese che preoccupa l’Unione per la corruzione dilagante, per le carenze del sistema giudiziario, per il rispetto della libertà di espressione e dei diritti fondamentali. Un Paese che rafforza la propria posizione anche attraverso l’utilizzo improprio dei fondi dei cittadini europei: è per questo che l’unico metodo efficace usato dalla Commissione europea per fare pressioni sul governo ungherese continua a rivelarsi quello del congelamento dei fondi. Lo spiega Renato Coen, corrispondente a Bruxelles per Sky Tg24: “I fondi sono tutto. La strategia europea non è solo un modo per fare pressione, ma anche per discostarsi dal principio per cui i soldi dei cittadini europei contribuiscono a mantenere al potere un unico autocrate: questo ovviamente ha un significato ulteriore rispetto al mero valore economico”.
Nuove prospettive di ampliamento
Attualmente sono nove i Paesi candidati ad entrare a far parte dell’Ue: Albania, Montenegro, Bosnia, Serbia, Turchia, Macedonia del Nord e, ultimi entrati in questa lista d’attesa, l’Ucraina, la Moldavia e la Georgia.
“La questione di un allargamento ulteriore è dirimente dal punto di vista geopolitico – prosegue Coen –. L’Europa ha capito che l’integrazione è necessaria al fine di competere come grande potenza con gli USA e la Cina, accrescendo l’unità sul fronte della difesa, della politica interna ed estera, degli investimenti. Non può permettersi di lasciare i Paesi candidati in mano agli investimenti provenienti da est, ad esempio dalla Cina o dalla Russia.” La necessità di tutelare i nuovi candidati dalle influenze straniere si scontra così con il rischio di un ulteriore disgregamento interno. Per Bonanni, che ricalca il messaggio esposto dall'ex presidente del Consiglio italiano e della Banca Centrale Europea Mario Draghi a Bruxelles, “l’Europa deve dotarsi di nuove regole, fondamentali non soltanto per futuri allargamenti, ma anche e soprattutto per far fronte ai problemi presenti. Dobbiamo lavorare su una vera e propria pedagogia europea: solo così potremo creare una vera comunità”.