Denim Day, cos'è e perché si indossano i jeans contro la violenza sessuale

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Giulia Mengolini

Giulia Mengolini

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Una giornata di sensibilizzazione e protesta che si celebra in centinaia di città del mondo contro i falsi miti sugli abusi sessuali. Tutto nacque per l'indignazione dopo una sentenza della Corte di Cassazione del 1999, che assolse un uomo accusato di stupro a Potenza perché la vittima indossava i jeans. L'indignazione delle donne dal Parlamento italiano arrivò fino in California

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Un movimento mondiale nato dall’indignazione scoppiata oltre due decenni fa da una sentenza italiana su uno stupro: è il Denim Day, giornata che si “celebra” l’ultimo mercoledì di aprile per protestare contro gli abusi sessuali e sensibilizzare l’opinione pubblica, oggi riconosciuta istituzionalmente da 20 Stati americani. Tutto nasce nel 1992, in provincia di Potenza, quando una ragazza di 18 anni durante la sua prima lezione di guida viene violentata dal suo istruttore. La giovane denuncia l’uomo, che nel 1999 viene condannato a due anni e due mesi di reclusione. Una sentenza che sarà però ribaltata dalla Corte di Cassazione, stabilendo che l’istruttore non poteva averla aggredita sessualmente perché lei indossava un indumento aderente, difficile da sfilare senza consenso: un paio di jeans.

 

La protesta dal Parlamento ai negozi

Una motivazione che fece indignare e arrabbiare le donne italiane, che si unirono contro “l’alibi dei jeans”. Infuriate per l'esito della sentenza, le donne del nostro Parlamento - tra tutte Alessandra Mussolini e Stefania Prestigiacomo - inscenarono una protesta sui gradini della Corte di Cassazione indossando jeans e sostenendo che quella sentenza sembrava risalire a mezzo secolo prima. Il dibattito divenne pubblico e nel febbraio dello stesso anno, racconta un articolo dell'epoca del New York Times, diversi negozi di Roma e Napoli proposero sarcasticamente i "jeans anti-stupro" come regali di San Valentino.

Italian deputies Stefania Prestigiacomo (L) of the Forza Italia party, Alessandra Mussolini (C) and Sandra Fei (R) of the neo-fascist Allianza Nazionale party hold 11 February placards, spelling out the slogan "Jeans alibi for rape" to protest against a 10 February ruling by the Supreme Court of Appeals that a woman wearing jeans cannot claim to have been raped. Female lawmakers continued their "no -skirt strike" to protest the ruling, which sparked a storm of protests across Italy. (Photo by TOIATI / AFP) (Photo by TOIATI/AFP via Getty Images)
Stefania Prestigiacomo, Alessandra Mussolini e Sandra Fei protestano contro la sentenza l'11 febbraio 1999. - ©Getty

Il primo Denim Day a Los Angeles

La protesta venne ripresa dai media internazionali, e ispirò le donne californiane a fare lo stesso in Senato. Vedendo quelle scene in tv l'attivista femminista Patricia Giggans, direttrice di "Peace Over Violence", pensò che tutti e tutte dovessero  fare lo stesso, indossando un paio di jeans per sensibilizzare sul tema e sfatare i falsi miti sugli abusi sessuali, combattendo il victim blaming. Il primo Denim Day nacque così a Los Angeles nell'aprile del 1999. E oggi continua a essere "celebrato" per gridare in tutto il mondo che non è un capo di abbigliamento a stabilire il consenso.

Un paio di jeans come gesto politico

Da allora, quella che era iniziata come una campagna locale per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla colpevolizzazione delle vittime e sui miti distruttivi che circondano la violenza sessuale è diventata un movimento globale. Venticinque anni dopo, il Denim Day - che in Italia è in realtà poco conosciuto nonostante la sua origine, fatta eccezione per i flashmob dell'organizzazone Break The Silence - è una vera e propria campagna e educativa e di prevenzione della violenza sessuale, che chiede alle persone di indossare un paio di jeans l'ultimo mercoledì di aprile come gesto politico e atto di protesta. E ribadire che quello che indossa la vittima è assolutamente irrilevante: sia una gonna corta o un paio di jeans, il sesso senza consenso è sempre stupro.

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