Irlanda, l'8 marzo si vota al referendum contro la concezione "sessista" della donna

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Giulia Mengolini

Giulia Mengolini

Le cittadine e i cittadini irlandesi sono chiamati alle urne per stabilire se cambiare l'articolo della Costituzione 41.2, obsoleto e di stampo patriarcale, datato 1937, che relega la donna al ruolo domestico (definita la clausola "women in the home"). Per il governo un voto che rappresenta un’opportunità per favorire l’uguaglianza di genere: "Il posto di una donna è ovunque lei voglia che sia"

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"Lascia il sessismo fuori dalla Costituzione". L’8 marzo, nella Giornata Internazionale della donna, le cittadine e i cittadini irlandesi sono chiamati alle urne per stabilire se cambiare un articolo della Costituzione obsoleto e di stampo patriarcale, datato 1937, chiamato anche women in the home.
Per il governo e le associazioni femministe un voto che rappresenta un’opportunità per favorire l’uguaglianza di genere. Agli elettori e alle elettrici verrà infatti chiesto di pronunciare l’articolo il 41.2, che recita: Lo Stato riconosce che, con la sua vita domestica, la donna fornisce allo Stato un sostegno senza il quale il bene comune non può essere realizzato. Lo Stato dovrà, pertanto, sforzarsi di garantire che le madri non siano costrette, per necessità economica, a impegnarsi nel lavoro trascurando i loro doveri domestici”.

Un articolo "per mettere le donne al loro posto"

A proporre l'articolo 41.2, già discusso all'epoca, fu il politico e patriota irlandese Éamon de Valera - poi primo ministro e presidente della Repubblica d'Irlanda dal 1959 al 1973) - sostenendo "che avrebbe dato alle donne una posizione privilegiata nella società irlandese". La formulazione, per quanto ambigua, nacque infatti con l'obiettivo di riconoscere l'importanza del lavoro in casa che, allora era svolto quasi esclusivamente dalle madri, e assicurare che non fossero costrette a lavorare fuori casa per ragioni economiche. Quella che sembrava una "tutela", è diventata però un'arma a doppio taglio per le donne irlandesi: l'articolo 41.2 è stato infatti spesso utilizzato per sostenere la tesi secondo cui il posto della donna fosse appunto la casa, dipingendola come un angelo del focolare e chiudendo quindi le porte, anche se teoriche, all'emancipazione. Per l'attivista femminista Ailbhe Smyth l'articolo 41.2 non è mai stato inteso da de Valera come qualcosa di diverso da una clausola per "mettere le donne al loro posto e mantenerle lì".

"Stop al linguaggio sessista e stereotipato"

"Lo Stato dovrà sforzarsi di garantire che le madri non siano costrette, per necessità economica, a impegnarsi nel lavoro trascurando i loro doveri domestici”: parole scolpite nella Costituzione da quasi 90 anni, che oggi suonano come patriarcali e superate, che l'8 marzo le associazioni femministe insieme a parte della politica irlandese sperando di cancellare. Per il ministro per l’Uguaglianza Roderic O’Gorman "il posto di una donna è ovunque lei voglia che sia: nel mondo del lavoro, in quello dell’istruzione o in casa”. A favore dei Sì anche il Consiglio nazionale delle donne, per cui “il linguaggio sessista e stereotipato non trova posto nella nostra Costituzione ed è rappresentativo di un’epoca in cui le donne erano trattate come cittadine di seconda classe”. Tuttavia l'emendamento proposto nel referendum è poco incisivo: "Lo Stato riconosce che la prestazione di assistenza reciproca dei membri di una famiglia, in ragione dei vincoli che esistono tra loro, fornisce alla società un sostegno senza il quale il bene comune non può essere realizzato, e si impegna a sostenere tale prestazione", recita, eliminando il linguaggio "sessista" ma non fornendo un impegno concreto verso chi, all'interno della famiglia, si occupa della casa.

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L'attivista Smyth: "Siamo state rese invisibili"

L'attivista Smyth ha ribadito che lo Stato non ha mai valorizzato il lavoro svolto dalle donne in casa, mentre l'articolo 41.2 ha portato il governo e la società a “ignorare il lavoro svolto dalle donne, dandoci per scontato e rendendoci invisibili”. Ed è per questo che venerdì 8 marzo è un’opportunità unica per “finire il lavoro delle donne che sono venute prima di noi". Marie Baker, giudice della Corte Suprema che presiede la Commissione, ha espresso la speranza che i cittadini e le cittadine si interessino alla questione. “La cosa peggiore che potrebbe accadere è che a nessuno importi nulla”, ha dichiarato. “Direi che tutti dovrebbero preoccuparsi di ciò che c’è nella Costituzione. Tutti dovrebbero interessarsi di ciò che dice. E tutti dovrebbero preoccuparsi di ciò che pensano al riguardo".

Il referendum sulle relazioni diverse dal matrimonio

Sempre l'8 marzo in Irlanda si vota anche per un secondo referendum, quello che potrebbe ampliare il riferimento alla famiglia aggiungendo la specifica: “Se fondata sul matrimonio o su altre relazioni durevoli”. Se approvato, si tratterebbe di un ulteriore passo avanti in tema di diritti: la formulazione attuale infatti offre tutela costituzionale solo alle famiglie sposate (le nozze tra persone dello stesso sesso sono legali nel Paese dal 16 novembre 2015). In un lungo opuscolo di otto pagine inviato a 2,3 milioni di famiglie irlandesi, si specifica che per relazione “durevole” si intende “una famiglia basata su diversi tipi di relazioni impegnate e continuative diverse dal matrimonio”.

Il referendum sull'aborto nel 2018

Non è la prima volta che la Costituzione irlandese viene emendata in favore dei diritti delle donne. Il divieto di aborto, per esempio, è stato revocato solo pochi anni fa. Il 25 maggio del 2018 agli irlandesi e alle irlandesi era stato chiesto se volessero abrogare l'ottavo emendamento: un articolo aggiunto nel 1983, che di fatto rendeva sempre illegale l'interruzione volontaria di gravidanza, senza eccezioni. Per il premier Teo Varadkar il Sì al referendum aveva "sollevato l'Irlanda dal suo fardello di vergogna". Sei anni dopo, le donne irlandesi sperano di aggiungere alla loro  Costituzione un altro tassello di civiltà. E poter ricordare l'8 marzo come più di una data simbolica.

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