Geo Barents, le storie di chi salva vite umane

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Monica Napoli

Monica Napoli

La nave di salvataggio di Medici senza Frontiere, che opera nella zona Sar del Mediterraneo dal 2021, ha salvato 10.397 persone dall'inizio delle attività

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10.397 persone salvate in mare dall’inizio delle attività di Geo Barents, la nave di salvataggio di Medici senza Frontiere, che opera nella zona Sar del Mediterraneo dal 2021. 151 i salvataggi effettuati dal team della ONG, fondata nel 1971 da un gruppo di medici e giornalisti. 62 le operazioni di salvataggio effettuate nel 2023 in 28 diverse missioni, oltre 4600 le persone tratte in salvo nell’ultimo anno.

Quando nasce la Geo Barents

A maggio del 2021, la Geo Barents entra per la prima volta nella zona Sar del Mediterraneo. La nave, presa in affitto dalla ONG, era prima una imbarcazione utilizzata dalla società norvegese Uksonoy & co per effettuare rilievi sismologici.

A bordo ci sono 21 persone dello staff di Medici senza Frontiere e 15 persone che compongono la crew, dal capitano ai tecnici, tra loro anche il personale che gestiva la nave precedentemente, quando il suo utilizzo era differente. Due i gommoni utilizzati per raggiungere le imbarcazioni in difficoltà e portare a bordo le persone salvate.

Prima della nascita di Geo Barents, il personale di Medici senza Frontiere ha supportato, a bordo, le diverse ong che operano nel mediterraneo fornendo soprattutto supporto medico.

Due medici, una ginecologa, una infermiera, due mediatori interculturali, una psicologa, nove esperti e responsabili di operazione di ricerca e soccorso, un logista, un capo progetto, un vice capo progetto, una responsabile degli affari umanitari, sono tra il personale a bordo della prima missione del 2024.

Nel corso della missione, ognuno ha un ruolo preciso e un compito da portare a termine durante la navigazione e durante i salvataggi.

A bordo ci sono persone di diverse nazionalità, canadesi, argentini, australiani, europei che con le loro professionalità contribuiscono alla riuscita della missione.

“Penso di fare questo lavoro perché sono terribilmente arrabbiata per ciò che accade nel mondo. Non potrei immaginare di fare niente altro di diverso da questo per sfogare la mia rabbia nel modo giusto.” Spiega Margot, viene dalla Francia ed è responsabile dell’accoglienza. Si occupa dell’organizzazione dello spazio dedicato all’accoglienza delle persone salvate in mare, parla con loro, presenta la crew e come si svolgono le giornate mentre si naviga verso il porto assegnato dalle autorità.  

“Ho scelto di lavorare con MSF, dare questo supporto proprio per la componente umanitaria che c’è in questo lavoro. Un lavoro che spesso è anche difficile, ha a che fare con le sofferenze e ascoltare le storie delle persone ma la soddisfazione dal punto di vista umano è ovviamente imparagonabile ad ogni altro lavoro” spiega Ahmad, è un mediatore culturale. Originario della Giordania, lavora da tanti anni con MSF e il suo è un compito particolare, è la prima persona che chi viene salvato in mare o arriva alle frontiere incontra, la prima con cui parla e racconta cosa ha vissuto durante il viaggio o anche prima di mettersi in viaggio. Ahmad come Kwatar e Clarissa, la responsabile degli affari umanitari, raccolgono le confidenze e le storie atroci di chi scappa da guerra, fame e distruzione. Sono loro, poi a renderle, alle associazioni e ong che si occupano dei rifugiati una volta sbarcati o quando vengono affidati a centri.

“Nel momento in cui siamo tutti a bordo con le persone che abbiamo tratto in salvo siamo un poo’ come una grande famiglia – racconta Clarissa – perché in mezzo a questo mare è abbastanza folle quello che succede e quindi siamo subito legati da un soccorso, dalle forti emozioni che queste persone provano perché un soccorso vuol dire la differenza tra la vita e la morte. Quello che non facciamo è dare false speranze”. Individuare le persone più fragili, le donne in particolare, spesso vittime di tratta, qualcuna viaggia anche accompagnata dal proprio sequestratore o da altre donne che fanno loro da maman, persona che consegna di fatto queste donne a chi poi le vende o le fa prostituire. Storie che chi lavora sulle navi di salvataggio ha il dovere di ascoltare, scovare e denunciare.

Alex, responsabile della logistica della nave, arriva dal Canada

“Vengo dal Québec, la parte francese del Canada. Si tratta di un fenomeno che in Canada vediamo da lontano, è un contesto che mi interessa da molti anni. Attraverso i media arrivano diverse immagini che sono abbastanza scioccanti. Ho dei colleghi che avevano lavorato nei Paesi più poveri e hanno poi lavorato a bordo della nave di MSF così è diventato, per me, di grande interesse poter unire la mia esperienza sulle navi, l’esperienza accumulata sul campo con MSF in un contesto dove sento che c’è davvero bisogno di una risposta immediata alle difficoltà”.

Racconti e storie per molti lontane migliaia di chilometri dalla loro casa, dal loro Paese ma che hanno spinto in tanti a voler essere nel Mediterraneo in questo momento storico.  

Dal Canada all’Australia

“Ho molta esperienza di lavoro in mare quindi sono qui per poter usare le mie conoscenze e la mia passione nell’aiutare gli altri che sono in pericolo nel mare perché so cosa significa essere in pericolo in mare. Le imbarcazioni su cui troviamo queste persone sono inimmaginabili, terribili.

Posso usare la mia esperienza di lavoro su diverse navi. E’ qualcosa che posso davvero capire.

Vengo dall’Australia, sono cresciuta navigando, e ora non vorrei essere da nessuna altra parte” dice Megan che qui ha il compito di guidare i gommoni di salvataggio.

Ma non solo, ci sono anche diversi argentini

Io sono un migrante, arrivo dall’Argentina, so che significa stare lontano da tua mamma tuo padre, non sai quando rivedrai tua mamma tuo padre tua nonna, quindi capisco bene. E per me è stato semplice perché ho un passaporto.  Le persone migrano da sempre, mio nonno è emigrato dalla spagna all’argentina, le frontiere non fermeranno le persone” dice Juan, fa parte del tea, che si occupa dei salvataggi sui gommoni.

“Io sono arrivata quando ero giovane, ho avuto la possibilità di avere un visto, viaggiare in aereo e vedere mio padre che mi aspettava all’aeroporto. Queste persone non hanno questo diritto, Sento la responsabilità e il bisogno di essere qui e dare una mano perché queste persone rischiano la vita per essere qui e salvare i loro figli in un posto sicuro, mi sento onorata di essere qui” gli fa eco Kawtar, mediatrice culturale di origine marocchina.

“Migliaia di persone attraversano una delle rotte migratorie più pericolose al mondo. Dare loro assistenza è per me un privilegio” dice Sophie, ostetrica londinese. 

“Le persone sopravvissute che troviamo sulla rotta del Mediterraneo centrale non hanno accesso ad alcuna cura medica durante il loro viaggio. Noi siamo davvero il primo punto di riferimento per queste persone che non hanno alcun accesso a nessun tipo di attrezzatura medica per l’intero viaggio.

È una grande soddisfazione riuscire a fornire delle cure a persone che non hanno alcuna altra opzione ma è davvero triste pensare che ci siano altre persone che continuano a vivere in condizioni peggiori in Libia” spiega Ryan, medico irlandese.

Claire è una marinaia di professione, dal 2017 ha deciso di dedicarsi ai salvataggi in mare e da allora non ha più smesso.

“Faccio questo lavoro perché sono una marinaia professionista, lavoro sulle navi, e i marinai non lasciano le persone morire in mare, è la regola base. Penso sempre che per noi non sia difficile, è difficile per le persone che salviamo in mare. Per me è impossibile, come persona che tiene agli altri, lasciare le persone affogare, dobbiamo dimostrare solidarietà a tutti” dice.

“Dal 2021, la Geo Barents ha soccorso oltre 10mila persone, ognuna di loro con la propria storia e il proprio vissuto e la maggior parte delle volte le ferite fisiche e mentali che riportano riflettono l’entità delle violenze subite nei loro Paesi di origine o nei Paesi di transito come la Libia e la Tunisia” spiega Celine Urbain, capo progetto di Medici senza frontiere a bordo della Geo Barents.

Come si opera dopo il soccorso?

Una volta effettuato il soccorso, le persone salvate vengono alloggiate nei due ponti preposti dove ci sono toilette e cibo. Dopo un discorso di benvenuto dove si spiega cosa accade successivamente e ci si presenta, si effettuano le prime visite mediche e i primi colloqui con mediatori, psicologi e con la responsabile degli affari umanitari.

“E’ possibile – sostengono gli addetti ai lavori –  come previsto dal decreto ong, richiedere le intenzioni dei migranti salvati ma si può effettuare un primo riconoscimento della nazionalità, dell’età e delle condizioni fisiche e psicologiche. Può capitare che durante una visita medica si trovino delle ferite dovute a delle torture subite ad esempio, circostanza che può cambiare la condizione giuridica di una persona”.

 

Cosa è cambiato con il decreto ONG?

A febbraio del 2023 con il decreto Ong, il governo Meloni ha modificato alcune delle regole per le organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo. Di fatto, le navi che svolgono attività di ricerca e soccorso in mare

A febbraio del 2023 con l’approvazione del decreto Ong, il governo Meloni ha modificato alcune delle regole per le organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo.

Di fatto, le navi che svolgono attività di ricerca e soccorso in mare devono, innanzitutto, avere le autorizzazioni rilasciate dalle autorità competenti dello Stato di bandiera e i requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione nelle acque territoriali. Devono, inoltre, aver raccolto tempestivamente, previa informativa, le intenzioni dei migranti di richiedere la protezione internazionale. Quindi sono obbligate a richiedere, nell'immediatezza dell'evento, l'assegnazione del porto di sbarco e in seguito a raggiungere il porto di sbarco indicato dalle autorità. Di fatto, si obbligano le ong ad effettuare un solo salvataggio e rientrare.

Quello che accade nella realtà, però, è che dopo aver effettuato un primo soccorso, la stessa imbarcazione può essere allertata dal centro di coordinamento marittimo di Roma per altri soccorsi nella stessa area, l’imbarcazione di salvataggio a quel punto è obbligata ad effettuare il soccorso.

A quel punto deve dirigersi verso il porto assegnato dalle autorità. Ed è questa una delle differenze sostanziali rispetto al passato. Sempre più spesso, alle navi di salvataggio vengono assegnati porti molto lontani, che richiedono diversi giorni di navigazione mettendo così ancora di più in difficoltà le persone salvate che necessitano di cure immediate e di toccare terra dopo giorni in balia del mare e delle onde. 

“Nel 2023, da quando vengono assegnati porti lontani alle navi delle ONG, la Geo Barents ha percorso oltre 40.000 chilometri – pari a circa 100 giorni di navigazione – per raggiungere porti inutilmente lontani. Questo significa ritardare l’accesso delle persone soccorse a un’adeguata assistenza medica e ai servizi di accoglienza sulla terraferma di cui avrebbero bisogno. Ma raggiungere porti lontani significa anche non poter assistere altre persone in difficoltà in mare” racconta ancora Celine Urbain, capo progetto di Medici Senza Frontiere a bordo della Geo Barents

In caso di violazione della legge, si applica una sanzione amministrativa che può andare da 10.000 ai 50.000 come previsto dal decreto e un fermo amministrativo, dopo il terzo fermo si può procedere al sequestro dell’imbarcazione.

La nave Geo Barents è stata la prima nave di soccorso fermata dopo l’approvazione del decreto, per 20 giorni, con una multa di 10mila euro.

Dopo aver effettuato l’ultimo salvataggio del 2023, il 29 dicembre scorso quando sono state tratte in salvo 336 persone, la Geo Barents ha lasciato il porto di Ravenna che gli era stato assegnato per ripartire alla volta del Mediterraneo dove sono sempre più le segnalazioni di imbarcazioni in difficoltà.

 

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