In Francia una tassa musicale per sostenere i cantanti francesi
MondoIl mercato dello streaming musicale cresce, il 60% dei ricavi sono legati all’ascolto online, perciò è il momento che le piattaforme digitali paghino di più per supportare il settore. La proposta del governo francese però non piace ai diretti interessati che dovrebbero pagare questa nuova tassa. Ne abbiamo parlato con il CEO di Deezer, il principale competitor di Spotify, nato in Francia 15 anni fa
I Gainsbourg e le Edith Piaf non nascono dal nulla. Anche far emergere i talenti musicali francofoni del domani fa parte della strategia di Macron per dare prestigio alla French Touch, l’immagine internazionale della cultura francese. Proprio per supportare la filiera musicale nazionale nel 2020, in piena pandemia, l’Eliseo aprì il Centro nazionale per la Musica (dopo l’esperienza positiva con il Centro nazionale per il Cinema). Una struttura che oggi, a detta del ministero della Cultura, ha bisogno di più fondi. Anche perché il mercato evolve e ormai il 60% dei ricavati orbita intorno al mondo dello streaming online.
La proposta di una “tassa musicale”
Da aprile di quest’anno dunque il Governo ragiona su come ottenere più soldi per questa “missione”. Fino a che, a giugno, non ha lanciato un aut aut proprio alle piattaforme di streaming (principalmente due operano in Francia: Spotify e Deezer, l’equivalente francese). Gli attori della filiera , dalle etichette discografiche ai sindacati degli artisti, hanno tempo fino a fine settembre per trovare nuove fonti interne di finanziamento. Se non troveranno migliori soluzioni, sennò, il Parlamento imporrà alle piattaforme di streaming una tassa ad hoc. Si parla dell’1,75% sul totale dei ricavi, per una somma di circa 15-17 centesimi al mese su ciascun abbonamento. Un prelievo che varrebbe un tesoretto extra di 40 milioni di euro l’anno al ministero della Cultura, che molti sindacati del settore vedono di buon occhio.
La protesta di Deezer, lo “Spotify francese”
L’idea non piace alle piattaforme che dovrebbero pagare questa tassa, in particolare a Deezer, “unicorno” fondato a Parigi 15 anni fa e principalmente orientato sul mercato francese (sia in termini di ascolti che di progetti svolti a sostegno degli artisti). L’amministratore delegato Jeronimo Folgueira teme che la tassa - come è stata immaginata dal Governo - sarebbe a svantaggio dell’azienda rispetto alla principale competitor, Spotify, che ha un pubblico molto più internazionale. “Di fatto finirebbero per danneggiare la piattaforma che fa di più per supportare la musica francese”, ci dice. “Ecco perché siamo fortemente contrari a questa tassa, in accordo con Spotify. Inoltre, a causa dei nostri margini ridotti, non riusciremmo ad assorbire questa spesa aggiuntiva e, non potendo certo farla scontare ai musicisti, dovremmo aumentare i prezzi degli abbonamenti, danneggiando la nostra presenza sul mercato francese”.
Un metodo per retribuire meglio gli artisti
Se l’obiettivo è sostenere gli artisti francesi, anche i meno noti, Deezer ha però una controproposta: cambiare il modo in cui vengono retribuiti, pagando in base alla fidelizzazione degli ascoltatori invece che alla loro importanza in termini assoluti sul mercato. Il nuovo sistema - chiamato UCPS (User Centric Payment System) dovrebbe garantire retribuzioni più giuste agli artisti: “Sono fiducioso che riusciremo presto a cambiare il nostro modo di retribuire gli artisti, passando a un modello “artista-centrico” che farà molto bene al settore e alla creazione di musica di qualità”, ci dice Folgueira, “Ovviamente un cambio di sistema simile mette in gioco diversi interessi economici, perciò non è immediato. Ma stiamo facendo importanti accordi con grosse case discografiche per riuscire a mettere in pratica questo progetto il prima possibile”. Questa idea soddisferà il governo, facendogli mettere da parte l’idea di una tassa? Lo sapremo a settembre.
Quanto vengono pagati gli artisti su Spotify
Di un migliore sistema di retribuzione degli artisti per la musica condivisa online si discute, anche al di fuori della Francia, da tempo. L’1% dei musicisti più ascoltati in streaming rappresenta infatti il 41% degli ascolti; una dinamica che porta profitto soprattutto alle grande major discografiche. Per un artista “normale” che non ha dalla propria parte contrattazioni speciali e più favorevoli, perciò, 500 ascolti valgono 1 euro (secondo i calcoli della francese Kick Label, specializzata in distribuzione musicale digitale). Questo significa che anche quando un musicista raggiungesse il risultato non affatto semplice di 1 milione di stream (ascolti), non mettere in tasca più di 2000 euro.