Scott Adams accusato di razzismo, via la striscia satirica “Dilbert” dai giornali Usa

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Marco Congiu

Marco Congiu

Oltre trecento testate statunitensi hanno preso questa decisione in seguito a commenti razzisti fatti dall’autore durante il suo programma su YouTube mercoledì scorso che hanno scatenato le proteste dei lettori

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E’ il Re del politicamente scorretto: anti-gay, anti-ambiente, anti-vaccini. Per più di trent’anni, con la sua striscia satirica Scott Adams ha graffiato causticamente la società americana dalle pagine di centinaia di quotidiani locali, nazionali e anche oltre. Il suo “Dilbert” raccontava il Paese attraverso gli occhi disincantati di un tipico colletto bianco della Corporate America, con le sue contraddizioni, le sue storture e le sue ipocrisie. “Raccontava” perché, da oggi, la popolarissima rubrica non verrà più pubblicata. Praticamente da nessuno. Trecento giornali, tra cui il Washington Post, il New York Times, il Los Angeles Times e Usa Today, hanno deciso di cancellarla in seguito a commenti razzisti fatti dall’autore durante il suo programma su YouTube mercoledì scorso.

Cosa è successo

Discutendo un (provocatorio) sondaggio secondo il quale solo una lieve maggioranza di afroamericani era d’accordo con l’affermazione “E’ Ok essere bianchi”, Adams si è lanciato in una pericolosa intemerata da molti giudicata razzista se non addirittura segregazionista. “Se metà dei neri non è d’accordo con i bianchi -ha detto- allora sono degli odiatori. E la cosa migliore per i bianchi dovrebbe essere stare ben alla larga da loro”. Apriti cielo. Da Nord a Sud, da Ovest a Est, i giornali che pubblicavano “Dilbert” sono stati sommersi dalle lettere di protesta dei lettori. 

Linea sottile tra "satira" e "offesa"

Da quando ha abbracciato il Trumpismo nel 2016, il celebrato (e milionario) vignettista ha subìto una deriva sempre più cospirazionista ed estremista, disegnando scenette contro l’identità di genere, l’accettazione delle diversità, fino a sostenere le campagne NO-Vax e più recentemente suggerire che agli americani sia stato fatto il lavaggio del cervello per supportare l’Ucraina. A destra la chiameranno “cultura della cancellazione”, appellandosi alla (sacra e sacrosanta) libertà di espressione che “la sinistra” vorrebbe sopprimere. Ma la vicenda tocca uno dei nervi scoperti di un Paese fondato sul nobile ideale secondo il quale “tutti gli uomini sono creati uguali” (come dice la Costituzione) e che però poi è stato costruito (anche) con lo schiavismo e tutt’oggi discrimina -nei fatti- le minoranze. Dove tracciare la linea sottile tra “satira” e “offesa” è questione che attiene alle sensibilità personali, perfino quando lo decide un giudice. Il diritto soggettivo alla libertà di parola non implica però il “dovere” di un editore di pubblicare qualunque cosa (fatti salvi casi particolari come le rettifiche, ad esempio): anche non pubblicare è un diritto. I lettori in edicola (e gli elettori alle urne) giudicheranno.

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