Addio a Pio d'Emilia, da oggi siamo tutti più soli

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Giuseppe De Bellis

Giuseppe De Bellis

Ci ha lasciati a 68 anni il nostro corrispondente dall'Asia.  È morto in uno dei due posti che amava di più: a Tokyo, quella che considerava casa sua, quella che aveva scelto un po’ per fiuto giornalistico e un po’ per provocazione culturale anni fa, quando l’estremo Oriente era una area poco battuta dalla stampa europea, figurarsi da quella italiana

Da oggi siamo un po’ più soli. Noi di Sky TG24, voi spettatori, lettori, ascoltatori della nostra testata. Ci ha lasciati Pio d’Emilia. Pio è morto in uno dei due posti che amava di più: a Tokyo, quella che considerava casa sua, quella che aveva scelto un po’ per fiuto giornalistico e un po’ per provocazione culturale anni fa, quando l’estremo Oriente era una area poco battuta dalla stampa europea, figurarsi da quella italiana (Video - il ricordo di Pio D'Emilia del direttore di Sky TG24 Giuseppe De Bellis).

 

Ci ha lasciati in un modo che non gli era usuale, in silenzio, lui che amava le parole e che le parole usava per vivere con la stessa intensità con cui raccontava le sue storie. Corrispondente dall’Asia per quasi 20 anni, ma anche grande inviato e cronista, curioso e coraggioso. Ogni volta che c’era una crisi internazionale, una area instabile, una protesta di piazza, un terremoto, un’altra catastrofe naturale, anche molto distante da Tokyo, arrivava la telefonata: “Se volete io ci sono, pronto a partire”. Quel grado di sana incoscienza che è anima di un certo modo di fare giornalismo era il tratto più visibile di Pio: non era soltanto professione, era un modo di stare al mondo, coinvolto e coinvolgente, appassionato, totalizzante. Non aveva un carattere facile, non era raro che qualcuno di noi in redazione avesse uno scambio acceso di vedute con lui, perché era un tipo da grandi e piccole battaglie, con quel trasporto verso il lavoro abbiamo tutti imparato a capire che fosse il suo trasporto verso la vita.

Pio d'Emilia

Era divertente, ironico, scanzonato e permaloso al tempo stesso, ma così vitale da minimizzare i problemi di salute che lo accompagnavano da un po’ e che non gli hanno mai impedito di continuare a fare ciò che amava di più: il giornalista. Non esisteva un Pio diverso dal giornalista: memorabile la sua inchiesta/racconto “Mini size me, la svolta di Pio”, il documentario con cui mostrò la sua strada verso una vita più sana documentando il rapporto tra l’alimentazione e la salute. L’avventura di cui andava più fiero, però, è “Fukushima, a nuclear story”, il suo viaggio attraverso il Giappone colpito dal terremoto, dallo tsunami e dalla catastrofe nucleare del reattore di Fukushima. Fu il primo inviato straniero a essere entrato nella “zona proibita” e a raggiungere la centrale dopo l’incidente. “Un evento che ha segnato un prima e un dopo, che ha fatto perdere al Giappone la fiducia verso le istituzioni” ricordava sempre con un certo rammarico e con la consapevolezza del profondo conoscitore della cultura e della società giapponese. A quella storia Pio ha dedicato molto lavoro e moltissima dedizione, fino all’ultimo suo approfondimento di qualche settimana fa, “Giappone lost in transition”, che documentava insieme a Flavio Maspes il Giappone alle prese con la difficile transizione energetica che proprio al disastro di Fukushima è collegata.  

 

Aveva vissuto sul campo le proteste dei giovani di Hong Kong e prima di queste la grande conquista cinese dell’Occidente attraverso la “Ferrovia della Seta”, il documentario che lo portò da Pechino a Duisburg, in Germania, lungo la rotta “One Belt, One Road”, un progetto del governo cinese annunciato nel 2013, con lo scopo di collegare il Dragone con oltre 60 paesi, tramite rotte commerciali e investimenti infrastrutturali. 

Progettava altri viaggi, altre storie. Gli acciacchi fisici che lo accompagnavano li trattava sempre come fastidi con cui convivere, incidenti di percorso che un periodo di riposo (e di lavoro) nella sua amata casa in montagna, a Misurina, curava meglio dei medici. E anche quando era lì, immerso tra la neve, arrivava una chiamata, un’idea, una proposta, una sollecitazione. “Colleghiamo Pio”, era una frase che poteva arrivare in qualunque ora del giorno e sotto le forme più disparate. 

 

Non c’è un solo collega di Sky TG24, in questi 20 anni, che non abbia avuto un vissuto con lui. Dai direttori che si sono avvicendati e che oggi lo piangono con affetto e stima, a tutti i lavoratori della nostra testata, giornalisti e non. La sua perdita ci lascia senza parole, con una tristezza profonda, con il magone di non aver potuto dirgli per l’ultima volta una qualsiasi cosa, di non avergli lasciato l’ultima parola di una conversazione, come accadeva sempre. Ci mancherà, ci manca già.   

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