Due scioccanti testimonianze da parte di due detenuti nelle carceri, arrestati per aver partecipato alle proteste iniziate a settembre dopo la morte di Masha Amini. Dagli stupri alle violenze psicologiche, le voci raccolte dal Corriere. Intanto un altro manifestante di 23 anni è stato ucciso dalla polizia
Atrocità, violenze e stupri. In Iran la tensione è sempre più alta, tra le proteste finite nel sangue che non si fermano da settembre, dopo la morte della 22enne Mahsa Amini, morta mentre era in custodia della polizia morale.
L’ultimo caso è quello di Hamed Salahshoor, manifestante e tassista di 23 anni: il suo corpo, morto in custodia della polizia, ha mostrato segni scioccanti di tortura, dopo essere stato riesumato dalla famiglia, che ne ha dato notizia. E' il primo caso del genere emerso in questi tre mesi di proteste anti-governative nel Paese, duramente represse dalle autorità è stato arrestato vicino a Izeh il 26 novembre, come hanno riferito i suoi famigliari all'edizione farsi della Bbc. Quattro giorni dopo, hanno fatto sapere i parenti, le forze di sicurezza hanno detto a suo padre che Hamed era morto e gli hanno fatto dichiarare che aveva avuto un infarto. Ma il suo corpo mostrava i segni di gravi ferite alla testa e pesanti interventi chirurgici. "La sua faccia era fracassata. Il suo naso, la mascella e il mento erano rotti. Il suo busto dal collo all'ombelico e sopra i suoi reni era stato ricucito", hanno raccontato due cugini della vittima aggiungendo che il ragazzo aveva partecipato alle manifestazioni iniziate con la morte di Mahsa Amini.
Le torture raccontate dai testimoni: "Costretti a violentarci a vicenda"
Nelle carceri le violenze e le torture da parte della polizia stanno raggiungendo una crudeltà inimmaginabile. Lo raccontano alcune testimonianze raccolte dal Corriere, una delle quali contenute in un messaggio vocale in lingua persiana. L'uomo che parla, Ali, è appena uscito dal carcere, è anche lui un tassista ed è uno dei pochi disposti a raccontare cosa ha visto ed è stato costretto a subire. “Sono stato arrestato di fronte all’università di Isfahan (nell’Iran centrale, ndr), a fine ottobre. Sostenevo gli studenti nelle proteste contro il dittatore Khamenei”, dice l'uomo al Corriere. Le guardie l’hanno portato in un centro di detenzione segreto. Oltre alle carceri - secondo un report di World Prison Brief, nel 2014 si contavano 253 carceri - il regime dispone infatti di strutture il cui indirizzo non è noto al pubblico, dove interroga, tortura e trattiene i dissidenti.
"Si comportano meglio con gli animali che con noi", dice l'uomo. "C’era un uomo molto alto, con un passamontagna. Non faceva che insultarci e picchiarci". Poi il racconto da brividi: “Ci portavano in una stanza e ci riempivano di botte, ci minacciavano e ci ordinavano di violentarci a vicenda. Sul soffitto, una telecamera che riprendeva tutto”. Video che servono per ricattare i manifestanti e costringerli a dichiarare il falso.
Non solo torture: pressioni e violenze psicologiche
Atrocità confermate dall’Iran Human Rights Monitor, ong con sede a Londra: “L’uso sistematico degli stupri nelle carceri non è una novità. Avvengono sia sulle donne che sugli uomini, senza differenza”. Anche un rapporto di Amnesty International del 2020 conferma che lo stupro è un metodo di tortura e di repressione molto utilizzato, oltre ai pestaggi, l’isolamento, il waterboarding, l’elettroshock.
Il Corriere si è messo in contatto anche con Sara (nome di fantasia, ndr), 23 anni. Anche lei finita dentro dopo una manifestazione, anche lei ha subito violenza sessuale. A violentarla ripetutamente sono state le guardie. Se di stupri sugli uomini si è scritto poco, la Cnn ha raccontato le violenze sessuali sulle manifestanti iraniane e sui social sono tante le storie che girano. Tra tutte, quella di Armita Abbasi, 20 anni, finita in ospedale.
Sara non vuole parlare degli abusi sessuali subiti perché "non riesco ancora a tornare con la mente a quei momenti", dice, ma sottolinea un altro aspetto delle torture: le violenze psicologiche. "In prigione i medici cercano di farti il lavaggio del cervello. Mi ripetevano: “Hai rovinato la tua vita, perché manifesti?”. Lo psicologo mi diceva che i giovani come me poi si suicidano: “Che senso ha una vita vissuta così?”. La ragazza racconta che la istigavano al pensiero di togliersi la vita, ma lei rispondeva che voleva continuare a vivere per vedere il suo Iran libero. Oggi i due testimoni, Sara e Ali, sono fuori in libertà condizionata. Con quelle immagini troppo dolorose nella memoria, privati della loro dignità.