I giudici hanno stabilito all'unanimità che il parlamento di Edimburgo non può decidere da solo senza il via libera di Westminster
EDIMBURGO - I sogni di indipendenza scozzesi sono andati a sbattere contro la decisione della Corte Suprema di un Regno di cui Edimburgo non vuole più fare parte. O meglio, gli scozzesi chiedono, tramite il partito nazionalista che ancora una volta, alle elezioni dello scorso anno, ha vinto la maggioranza dei seggi nel parlamento nazionale di Holyrood, di potersi esprimere con un nuovo referendum consultivo sull’indipendenza, come nel 2014. Un voto sostenuto anche dal partito scozzese dei verdi e che la First Minister Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party (Snp), vorrebbe si tenesse nell’ottobre del 2023, in un contesto di legittimità internazionali (gli scozzesi hanno sempre preso le distanze dal modus operandi catalano). I giudici di Londra hanno invece stabilito all'unanimità che non può avere luogo senza l’avallo del parlamento di Westminster.
Incomprensione crescente tra Edimburgo e Londra
Una decisione che a Edimburgo viene vista, prima di ogni altra cosa, anche da chi non necessariamente voterebbe a favore della secessione, come la riprova dell’impossibilità per gli scozzesi di decidere a casa propria. Un aspetto, questo, che rappresenta un pericoloso nervo scoperto e che gli inquilini che si sono succeduti negli ultimi anni a Downing Street continuano a sottovalutare. Il punto più basso delle relazioni si è raggiunto forse con Liz Truss, che nei suoi quaranta, disastrosi giorni di governo è arrivata perfino a dire che Sturgeon “va semplicemente ignorata”. Prima di lei, Boris Johnson, travolto dagli scandali durante l’estate, ha sempre ripetuto che un referendum di tale portata può avere luogo una volta per generazione. Idea in astratto anche condivisibile, se non fosse per un aspetto che un dettaglio non è: la Brexit.
La nostalgia scozzese per l’Europa
Secondo molti analisti, una delle principali motivazioni che ha fatto vincere il no al voto sull’indipendenza nel 2014 è che gli scozzesi non avrebbero voluto rinunciare a far parte dell’Unione europea. Un bacino di voti che due anni dopo si è espressa a favore del Remain, facendolo vincere oltre il Vallo di Adriano. La vittoria del Leave è stata una sberla per la Scozia dalla quale non si è più ripresa e che fa gridare ancora di più all’ingiustizia. "La Scozia ha inviato un messaggio molto chiaro - non vogliamo un governo Johnson, non vogliamo lasciare la Ue. Boris Johnson ha il mandato di far uscire l'Inghilterra dall'Unione, ma deve capire che io ho quello di dare alla Scozia la possibilità di un futuro diverso", aveva tuonato la First Minister immediatamente dopo il risultato delle elezioni generali del dicembre 2019. Johnson aveva ottenuto una maggioranza di 80 seggi alla Camera dei Comuni, un'enormità, ma il partito nazionalista poteva contare su 48 seggi su 59 al parlamento nazionale di Holyrood. Un'altra enormità.
La morte di Elisabetta II, baluardo di unità
A meno di due anni dall’effettiva entrata in vigore della Brexit, un altro evento capitale ha recentemente scosso, e nel profondo, il Regno Unito: la morte della Regina Elisabetta. Aver ricoperto il ruolo di Capo di Stato per sette decadi (più di qualsiasi sovrano inglese prima di lei) l’ha resa un simbolo di stabilità e unità
senza pari. Quando peserà sul futuro di un Regno sempre più disunito il fatto che sia venuto meno il suo collante principale?
Belfast guarda ad Edimburgo e una parte sempre più importante della sua popolazione (ora a maggioranza cattolica) vede Londra sempre più lontana e Dublino sempre più vicina. Anche in questo caso la Brexit ha svolto un ruolo di acceleratore non da poco.