Dopo la morte di Mahsa Amini, continuano le proteste nel Paese. La vincitrice del premio Nobel 2003 all'evento organizzato da Sky TG24: "Nelle proteste non c’è un leader, tutto è auto-gestito ma in modo ordinato"
Dai rapporti tra Iran e Russia alle proteste che da quattro settimane caratterizzano il suo Paese. Shirin Ebadi, prima donna musulmana, nonché prima persona del suo Paese a ricevere il Premio Nobel per la Pace, ha risposto alle domande di Michele Cagiano nel corso della prima giornata di Live In Firenze (LA DIRETTA SU LIVE IN FIRENZE - PRIMA GIORNATA).
L’Iran sta vivendo un periodo ancora una volta molto complicato. Tutto comincia quando una giovane donna Mahsa Amini il 16 settembre muore dopo tre giorni di coma, dopo un arresto per aver indossato male l’hijab, obbligatorio per le leggi della teocrazia iraniana. Che Iran è il Paese di Mahsa Amini? Che Paese è l’Iran oggi?
Dopo quanto accaduto a Mahsa Amini, la rabbia della gente verso il regime è aumentata. Da 43 anni le richieste della popolazione sono ignorate. E adesso vediamo in varie città iraniane scene di gente che protesta contro le autorità che sparano nelle città tutta la notte. Tante persone sono state uccise. Tante, almeno 2 mila, sono state arrestate. Sembra l’inizio di una rivoluzione.
Da settimane vediamo giovani studenti morire e venire arrestati nelle proteste. Sono proteste del tutto spontanee o c’è qualcuno dietro? C’è un leader, un volto, che guida queste proteste? Le sembrano delle proteste diverse rispetto a quelle viste in passato?
Non possiamo dire che ci sia un leader preciso in queste proteste. I leader sono tutti i giovani che stanno combattendo in Iran. La rivoluzione del ‘79 ci ha fatto capire che se si sceglie un leader, quel leader può poi diventare un dittatore. Quindi ognuno sceglie di essere un leader. Lo vediamo, le proteste si generano da sé e lo fanno in modo molto ordinato
La situazione internazionale ora, quello che sta accadendo in Ucraina ad esempio, con le minacce russe sull’uso del nucleare, il nucleare che è un tema anche iraniano. Lei ritiene che l’accordo su cui si sta lavorando da anni sia un accordo possibile tra Iran e la comunità internazionale?
Qualunque cosa accada in ogni parte del mondo lascia il segno anche altrove. Voglio solo dire una cosa: le armi che ha Putin, quelle armi usate dai russi per attaccare l’Ucraina come i droni, sono armi iraniane. Sono stati gli iraniani a consegnarle a Putin. I russi e gli iraniani sono amici e complici nell’uccidere le persone.
"I Paesi europei devono avvicinarsi agli iraniani"
Cosa pensa che dovrebbe fare ora la comunità internazionale per aiutare il suo Paese?
La cosa più importante che ora possono fare i Paesi democratici, e mi riferisco specialmente a quelli europei, è non aiutare la Repubblica islamica perché in passato invece avete sempre guardato agli interessi economici. Adesso è arrivato il momento: i Paesi europei devono avvicinarsi agli iraniani. Non solo a parole, bisogna agire. Vi dico la mia proposta: vista la situazione, e l’oppressione, i Paesi europei devono richiamare i loro ambasciatori dall’Iran. Secondo me bisogna ridurre, “abassare” diciamo, il rapporto politico con l’Iran. Bisognerebbe passare da una ambasciata a un rapporto consolare. Non bisogna firmare più alcun contratto con l’Iran finché non finiscono queste violenze sul popolo.
In Iran il 75% della popolazione è sotto i 35 anni. Questa è una protesta anche dei giovani e si dice che sia anche una protesta di tutti quei giovani anche appartenenti all’establishment che non partecipano alla vita pubblica. È anche un modo dei giovani di un intero di Paese di partecipare alla vita pubblica, secondo lei? Queste manifestazioni possono battere anche la propaganda di un regime che nega le uccisioni delle giovani ragazze come Mahsa Amini?
Ci sono studenti, giovani, studenti universitari che protestano. Così come gli operai o le persone che scendono per strada dai loro uffici. Se guardiamo all’età media di chi protesta, ci sono i nipoti che scendono in piazza e protestano accanto ai loro nonni. Praticamente stanno protestando contro la Repubblica islamica tre generazioni diverse. Si protesta per avere un governo democratico e secolare. Quarantatré anni di questo regime religioso ci hanno fatto capire che non ci deve essere un regime ma abbiamo bisogno di un sistema secolare.
Tra gli arrestati c’è anche una ragazza italiana, Alessia Piperno, che sarebbe ora detenuta nel carcere di Evin. Che tipo di soluzione diplomatica pensa ci possa essere? Che cosa potrebbe succedere ora vista la sua esperienza di avvocato per i diritti umani?
Sì, purtroppo una ragazza italiana e un’altra trentina di persone che non sono iraniane o che hanno la doppia cittadinanza ora sono in carcere in Iran. Sono praticamente degli ostaggi in Iran. Sono anni che l’Iran approfitta delle persone e le usa come ostaggi. Come prima cosa, voi potete proibire ai vostri cittadini di andare in Iran per non avere problemi perché veramente lì si viene arrestati. E fate pressione alla repubblica islamica per liberare gli ostaggi. Ma quando le autorità ascoltano le richieste delle persone che prendono in ostaggio, prendono coraggio in qualche modo e continuano a fare altri ostaggi. Io spero che questa ragazza italiana e tutti gli altri ostaggi nelle carceri iraniane siano liberati, senza che vi costringano però a pagare. Non dovete ascoltare un regime terroristico come quello della Repubblica islamica.
"Non fate accordi con il regime"
Secondo lei la comunità internazionale sta facendo abbastanza? Lei ha proposto che gli ambasciatori lascino il Paese e che ci sia una rappresentanza diplomatica a livello consolare. Ci sono anche altri strumenti secondo lei per, di fatto, mostrare opposizione al modo in cui l’Iran sta gestendo le proteste che coinvolgono le generazioni più giovani del Paese?
Non fate nessun contratto con l’Iran, non lavorate economicamente con il regime iraniano. Non fate accordi o contratti. Il regime iraniano manda la sua propaganda tramite i satelliti europei. Non permettete al governo iraniano di usare i satelliti europei. Così loro non potranno uccidere nessuno, non potranno uccidere le persone innocenti per strada. Comunque, non aiutate in nessun modo la repubblica islamica per farla diventare più forte e oppressiva.
Lei ha due figlie, Nargess e Negar, una delle quali ha seguito tra l’altro le sue orme, diventando avvocato per i diritti umani. Che futuro si immagina per loro e per tutte le giovani donne iraniane? È l’inizio di qualcosa l’ondata di proteste che stiamo vivendo da settembre a oggi?
Spero che le mie figlie così come tutti i giovani che sono stati costretti a lasciare il paese possano tornare in Iran e che così aiutino a ricostruire il Paese dopo la Repubblica islamica. Noi abbiamo giovani molto validi e di talento che adesso vivono all’estero, sia nel campo della medicina, della tecnologia ma anche nell’ambito dei diritti umani e della letteratura. Tutte queste persone adesso sono costrette a lasciare il proprio Paese. Io spero che per loro ci sia la possibilità di tornare in Iran. Prima però, come condizione, il regime islamico deve crollare e si deve ristabilire un sistema democratico e secolare nel paese.
Lei da diverso tempo ha lasciato l’Iran. Pensa che potrà tornare liberamente nel suo Paese? Lei pensa che queste proteste porteranno a dei cambiamenti importanti e duraturi?
Noi tutti speriamo nel futuro e anche io spero che questo regime cada e smetta di spargere sangue. Spero che la gente abbia quello che vuole, un sistema democratico e secolare. E quel giorno, quando accadrà, io sarò la prima persona a tornare in quel Paese e lavorerò per servire il mio popolo come un avvocato.