Tanti sono i cittadini che hanno scelto di tornare nel Paese, nonostante la guerra. Abbiamo raccolto il racconto dei testimoni su cosa significa questo per molte famiglie ucraine, che stanno vivendo nel terrore
Che cosa vuol dire vivere in guerra lo sanno bene ormai i cittadini ucraini, che con il rumore assordante delle sirene e delle bombe ci convivono, in un’indicibile escalation di orrore. Lo sa bene Oksana, una donna che viveva in Italia e che in Italia lavorava, che è tornata in Ucraina a fine Agosto per stare vicina al figlio e alla famiglia di origine. E lì è rimasta, con la sua famiglia. Tutte le notti ci sono sirene nella regione di Zaporizhzhia: il confine tra la vita e la morte è sottile. Nonostante questo si cerca di preservare quel che resta del quotidiano. Operazione sempre più difficile. “La città è quasi vuota – ci scrive Oksana – Stiamo decidendo se andarcene via. E’ un massacro, ogni giorno ci sono vittime civili”. Dove andare, però, è la vera domanda. Non si sa. Come la famiglia di Oksana, che è numerosa e non riesce a spostarsi facilmente anche per questo, tante altre famiglie non lo sanno: “Stiamo cercando un luogo più sicuro attraverso conoscenze”, ci spiega. Ma non si sa se e come ci riusciranno, perché come loro in tanti stanno cercando di spostarsi all’interno del Paese e non è semplice sotto una pioggia di bombe. Ci sono realtà che operano per aiutarli, ma è tutto estremamente difficile. Ma perché non provare a uscire dall’Ucraina? La risposta è tutt’altro che scontata. In questo caso, come in molti altri, il problema è anche economico: “Ci vogliono migliaia di euro per vivere fuori dal nostro Paese, o anche per stare in Italia dove ero io prima, e non li abbiamo. Qui io, mio figlio e mio fratello lavoriamo nonostante tutto e ci sono dei sussidi per noi, in Italia non si sa se riusciamo a trovare qualcosa per garantirci il sostentamento”.
I profughi che rientrano in Ucraina
Non è l’unico caso: in tanti, nonostante la situazione drammatica, hanno scelto di tornare a casa. Lo racconta Svitlana Hryorchuck, sindacalista dell’Usb a Napoli, che per diverso tempo ha supportato i cittadini ucraini a trovare un luogo più sicuro, arrivando al confine insieme al marito, vigile del fuoco. Tra le persone portate in salvo c’erano anche i suoi genitori. Tuttavia, anche loro hanno scelto di tornare a casa. “In Italia e in Europa – sostiene Svitlana Hyorchuck – spesso i politici dichiarano di aiutare l’Ucraina mandando armi. Ma purtroppo non vedo programmi sufficienti a garantire una permanenza dei profughi qui. Lì la situazione era molto critica economicamente ancora prima del 24 Febbraio, poi è peggiorata al punto che iniziano a mancare anche le provviste in alcune zone che prima erano senza problemi di approvvigionamento, tuttavia qui noi non riusciamo facilmente a sostenere i nostri parenti perché noi stessi siamo sottopagati”. Dunque, i suoi genitori hanno scelto di tornare a casa sotto le bombe. E la notte non si dorme, ci racconta Svitlana: “Stanotte, come spesso accade, ero insonne pensando ai miei genitori e su uno dei gruppi Telegram ho visto il messaggio di una signora che chiedeva di prestarle 100 grivnia, l’equivalente di 3 euro, perché non aveva soldi per mangiare”.
Il sostegno che manca ai profughi e le prospettive
Un sostegno economico per i profughi ucraini è arrivato dal governo Draghi: fino al 30 Settembre, per chi avesse presentato la domanda di permesso di soggiorno, era possibile accedere a un contributo di 300 euro al mese, per tre mesi, per ogni profugo. Ma adesso questa possibilità non c’è, in attesa che si insedi il nuovo governo, mentre non sempre le attese sono brevi, ci racconta la sindacalista. In questo momento, manca quella prospettiva di lungo periodo che permetterebbe una integrazione e una permanenza. Lo racconta Angelica De Vito, diplomatic advisor presso le Nazioni Unite che sta seguendo da vicino la questione: “Sin dalle prime settimane di Aprile, le stazioni ferroviarie di Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria erano affollate di ucraini pronti a tornare a casa. Il fenomeno è stato analizzato dagli operatori umanitari di frontiera, che hanno segnalato un flusso costante di crescita di persone che tornano in terra natale, non solo per difendere il territorio o stare accanto ai mariti e figli di sesso maschile restati a combattere. Molti, infatti, sono costretti a lasciare i Paesi europei in cui hanno trovato rifugio per mancanza di prospettive di studio o di lavoro, nonché per l’assenza di sussidi di tipo economico che, nel lungo periodo, avrebbero permesso un reale adattamento e integrazione nel Paese ospitante -spiega - A questo si aggiunge che tante persone pensavano che la guerra sarebbe durata poche settimane o che non avrebbe toccato le città principali, in primis la Capitale, per il supporto dato dalla comunità internazionale al Presidente Zelensky. La situazione sta precipitando, e lo si avverte dalla comunicazione allarmata e allarmante delle maggiori potenze mondiali, compresa la Cina e la Turchia, che oggi esortano ad un dialogo diplomatico”. L’allargamento del conflitto pare non essere più un’ipotesi, ma una probabilità.