La pandemia, l’accesso al voto, l’Afghanistan, il controllo delle armi, i diritti degli afroamericani: in America sono innumerevoli i temi su cui in questi mesi repubblicani e democratici trovano motivo di scontro. Uno in particolare è diventato la bandiera dei conservatori più radicali: l’aborto.
Perché il Texas
La linea di frattura tra democratici e repubblicani passa soprattutto per il Texas. Come già accaduto in passato, infatti, lo Stato della stella solitaria è in prima linea nel portare avanti il programma dei conservatori, suscitando le inevitabili critiche dei progressisti. Come altri Stati del sud ovest il Texas ha una lunga tradizione repubblicana minacciata nelle aree urbane dall’arrivo di molti giovani, per lo più democratici, attirati dalle opportunità economiche, professionali e fiscali offerte dalle grandi città texane: Houston, Austin, San Antonio, eccetera.
La discussa legge sull'aborto
A settembre il governatore repubblicano del Texas Greg Abbott ha firmato una legge che di fatto impedisce alle donne di abortire. L’interruzione di gravidanza, infatti, è consentita solo entro le sei settimane di gestazione, cioè quando la maggior parte delle donne non è ancora consapevole di essere incinta. La regola vale anche in caso di stupro o incesto. L’unica eccezione è rappresentata dalla possibilità che la gravidanza metta a rischio la vita della madre.
Il diritto all'aborto negli Usa
Il testo di riferimento è la celebre sentenza della Corte Suprema nel caso “Roe vs. Wade” del 1973. I giudici hanno stabilito che l’aborto è possibile finché il feto non è in grado di sopravvivere all’esterno dell’utero, circostanza che in genere si verifica intorno alle 28 settimane di gestazione e comunque non prima delle 24. La legge texana potrebbe quindi facilmente essere accusata di incostituzionalità, ma i legislatori repubblicani hanno messo a punto uno stratagemma per rendere difficile, se non impossibile, l’appello alla Corte Suprema.
Lo stratagemma Repubblicano
In America chi è accusato di aver violato una legge può sollevare una questione di costituzionalità citando in giudizio il pubblico ufficiale incaricato di farla applicare. Il Texas, però, esclude esplicitamente che una qualsiasi autorità istituzionale possa essere incaricata di far rispettare la legge sull’aborto: questo compito è affidato ai privati, che possono accusare chiunque abbia praticato un aborto o ne abbia facilitato l’esecuzione. Chi si ritrova sul banco degli imputati, dunque, non ha modo di chiedere che venga esaminata la costituzionalità della legge. I condannati, inoltre, sono tenuti al pagamento delle spese processuali e di una somma di almeno diecimila dollari a favore degli accusatori.
Una Corte Suprema "Trumpiana"
Le organizzazioni pro-choice e il Dipartimento di Giustizia stanno ovviamente studiando un modo per aggirare il blocco e portare la legge texana davanti alla Suprema Corte, che per il momento non ha sospeso l’entrata in vigore del provvedimento. Anche se il testo dovesse arrivare all’esame di costituzionalità, però, l’esito non sarebbe scontato. Dei nove membri della Suprema Corte sei sono conservatori, la metà dei quali scelti da Trump. Tre giudici che rappresentano probabilmente il segno più profondo lasciato dalla precedente amministrazione.