Tony Blair a Sky TG24: contro terrorismo Uk e Ue insieme anche senza Usa e Nato

Mondo

Tiziana Prezzo

In un'intervista esclusiva per l'Italia, l’ex premier laburista britannico, alla guida del Regno Unito ai tempi dell'11 settembre, sostiene la necessità urgente che l'Europa si doti di una difesa europea e mette in allerta l’Italia, particolarmente esposta alla minaccia jihadista proveniente dal Sahel. E sulle guerre in Afghanistan e Iraq tenta un po' di autocritica: abbiamo sottovalutato la portata dell'impegno. (La corrispondente da Londra)

LONDRA -Nella sua autobiografia, “Un viaggio” (edito in Italia da Rizzoli), Tony Blair descrive la differenza tra “regretting”, pentirsi, e “feeling responsible”, sentirsi responsabile. Lo fa, non a caso, quando affronta il tema delle guerre in Afghanistan e Iraq.  La differenza tra i due termini, spiega, è che il primo è rivolto al passato, il secondo al presente e al futuro e comporta un impegno per tutta la vita (che ora si traduce essenzialmente in una fondazione molto attiva in Africa). Delle guerre post  11 settembre Tony Blair si sentirà sempre responsabile ma non colpevole, rivendicando ancora, nonostante la strenua opposizione del suo stesso paese e la sua fine politica, la giustezza dell’intervento militare e ammettendo solo che “la portata dell’impegno è stata sottovalutata”. Per Blair in Afghanistan si doveva rimanere ancora. Per lui i “boots on the ground” non hanno mai significato semplicemente una missione di controterrorismo, come invece dichiarato dal presidente americano Joe Biden.  La lezione afghana, osserva l’ex primo ministro, atlantista convinto, dimostra che gli interessi europei non sempre coincidono con quelli degli Stati Uniti e della Nato. Ed è per questo che l’Europa (Regno Unito incluso) deve adottarsi al più presto di una difesa europea complementare alla Nato.

“I talebani non sono cambiati, faranno proliferare il terrorismo”

Signor Blair, dopo 20 anni i Talebani sono di nuovo al potere. Sembra già chiaro che non rispetteranno diritti umani fondamentali. Gruppi terroristici sono ancora nel Paese. Ne valeva la pena?

Be', ritenevo si dovesse agire, come conseguenza dell'11 settembre e dell'attacco contro gli Usa. Penso in realtà che abbiamo raggiunto importanti risultati in Afghanistan e non ho condiviso la decisione di andarcene nel modo in cui lo abbiamo fatto. E mi dispiace molto per gli afghani, ora.  Secondo me, proprio il fatto che ora ci sia quest’ansia, questa paura, e il fatto che ci siano così tante persone che cercano di lasciare il Paese è la dimostrazione che nel corso di questi 20 anni la vita è migliorata per moltissimi afghani. Nutrivano speranze concrete. Ora i talebani sono tornati e dobbiamo vedere che faranno. La mia paura è che non siano cambiati. Permetteranno a gruppi come Al Qaida e Isis di proliferare.

“Dal Sahel prossima ondata di terrorismo e migranti, l’Italia è esposta”

E' stata un'ambizione mal riposta quella di cercare di trasformare uno stato terrorista fallito in una democrazia funzionante? Come si è sentito quando il presidente Biden ha dichiarato che gli Usa erano andati in Afghanistan con il solo obiettivo di eliminare Al Qaida?

Non capisco come ci si possa trovare in una situazione del genere senza parlare di "nation building". Non deve necessariamente avvenire come è accaduto in Afghanistan o Iraq o come si sta cercando di fare ora in Libia o Yemen. Per esempio, nei Paesi dell'area africana del Sahel, dalla quale ritengo partirà la prossima ondata di estremismo e migranti verso di noi in Europa, lì si devono aiutare i legittimi governi in modo tale da respingere i terroristi. Ma per fare questo si devono anche fornire possibilità di sviluppo e non solo sicurezza in senso stretto, ma piuttosto in un senso più ampio, dove l'economia può crescere.

Lei ha scritto: "Abbiamo fatto degli errori, alcuni gravi". Quale è stato il più significativo? E' stato un errore strategico andare in Iraq invece che pensare di rafforzare l'Afghanistan?

Sa, sta diventando un leit motiv che siamo andati in Iraq ma ci saremmo dovuti concentrare sull'Afghanistan. Il nostro impegno in Iraq si è concluso oltre 10 anni fa. E da quando è iniziata la missione di addestramento della Nato e degli Usa in Afghanistan nel 2014, la nostra presenza in Iraq era limitata, come i nostri costi, e avevamo, di base, la situazione sotto controllo.

“In Afghanistan e Iraq abbiamo sottovalutato la portata dell’impegno”

Quindi quale è stato l'errore più importante?

E' stato il non comprendere che anche approcciando il Paese con le migliori intenzioni, investendoci risorse, sforzi ed energia, per aiutarlo, la realtà è che qualsiasi cosa si cerchi di fare i terroristi cercheranno di distruggerla. E' quindi un impegno molto, ma molto più duro di quanto si possa immaginare.

 

E' corretto quindi pensare che lei -e non solo lei - sottovalutò questo aspetto?

Sì, è ciò che abbiamo sottovalutato. E questo è un errore che ammetto di aver commesso. Non dico che avremmo dovuto lasciare i talebani al loro posto, ma la verità è che abbiamo affrontato l'Afghanistan sottostimando questo problema.

 

Lei è cattolico. Si dice che i cattolici abbiano un gran senso di colpa... Lei ce l'ha?

Be', non so se ce l'hanno, ma penso che la maggior parte delle persone che credono hanno valori molto forti. Che spero di avere.

“L’Occidente decida se il Jihadismo è ancora un problema”

Recentemente ha detto: "Ogni gruppo jihadista nel mondo sta festeggiando". Teme un altro 11 settembre?

Spero di no, ma non lo si può mai dire. Questo movimento globale non è stato rallentato, sta progredendo. E questo perchè non lo stiamo affrontando in una maniera coerente. Io penso che chi fa politica in Occidente ora - America, Europa, Uk, Nato- si debba chiedere: avevamo ragione nel ritenere questa una minaccia grave? Il lavoro che la mia fondazione compie in Africa mi fa comprendere che il jihadismo è con ogni probabilità tra i 2-3 elementi che impediscono lo sviluppo di molte nazioni in tutto il continente. L'Occidente deve decidere se questo è un problema - e se lo è come va contrastato e portato avanti. Questi sono quesiti ancora aperti.

“L’Europa deve difendere i propri interessi anche senza gli Usa”

Dobbiamo sentirci minacciati, quindi, ora?

Certo, penso che dovremmo continuare a sentirci minacciati. Gli italiani lo sanno molto bene: il flusso di rifugiati proveniente dal Medioriente, l'Africa... E' un problema dell'Europa... Una delle sfide più importanti la deve affrontare proprio l'Europa. Una delle cose che è diventata evidente, e lo era già al tempo del Kosovo - ed è per questo che cominciai a parlare di difesa europea insieme alla Francia, nel 2000 - è che l'Europa non ha l'indipendenza di agire senza l'America per difendere i propri interessi.

“Uk e Ue ora insieme per creare una difesa europea”

La relazione tra America e Regno Unito è molto forte e profonda, è sistemica, penso che continuerà, ma non posso fingere che il sistema britannico non ne sia attraversato da un senso d'ansia. Lo è. Per l’Europa questa è la vera sfida, era quello di cui discutevo sempre quando il Regno Unito era nell’Unione Europea. Invece di concentrarsi continuamente su problemi costituzionali interni, la vera questione è quella di costruire una forza europea e la politica europea di difesa è una grossa parte di questa. Questa è un’area, in ogni caso, in cui Regno Unito ed Europa, anche con il Regno Unito al di fuori della struttura politica dell’Unione Europea, potrebbero e dovrebbero cooperare.

“La Nato non è morta ma serve una struttura europea complementare”

Siamo alla fine della Nato?

Penso sia una domanda intelligente da farsi oggi. Penso che la risposta sia no, non siamo alla fine della Nato. La Nato ha ancora una funzione e un obiettivo molto chiari, ma penso che ci siano diversi interessi che uniscono i Paesi della Nato. E penso che per questo motivo ci sia anche spazio per una cooperazione al di fuori dalla struttura della Nato. E, come io e il Presidente Chirac sostenemmo al tempo, quando si cominciò a parlare di difesa europea, il fine non era certamente, dalla prospettiva britannica, indebolire la Nato, ma al contrario esserne complementare, permettendoci di agire in circostanze in cui l’America non avrebbe potuto o voluto. E penso che oggi questi temi siano tornati d'attualità, perché, come ho detto, la nuova grande ondata di problemi arriverà dall’Africa, saranno alle nostre porte e in particolar modo alle vostre, in Italia.

“Di fronte al Jihadismo in Africa l’Occidente è miope”

La cosa più importante che noi dobbiamo fare è avere un piano a lungo termine per stabilizzare questi Paesi e aiutarli. Ed ecco che torniamo a tutti i problemi di cui abbiamo parlato e che purtroppo, che ci piaccia o no, l’Afghanistan ha sollevato. Ora, penso che sarebbe molto saggio da parte nostra fare tutto il possibile per aiutarli nell’affrontare i loro problemi di sicurezza e a costruire le loro istituzioni e lo sviluppo di cui la loro gente ha bisogno. Altrimenti avremo masse di giovani cresciuti senza alcuna possibilità di sviluppo, senza un futuro e ci sarà chi riverserà propaganda nella loro teste fin da piccolissimi. Penso che se fossimo stati lungimiranti, ci saremmo già resi conto che questo, in futuro, sarà un enorme problema per noi.

Se si sostiene che il Presidente Bush ed io, subito dopo l'11 settembre, abbiamo sposato la linea più dura, dicendo sì all’intervento militare, alla costruzione di una nazione e così via, il rischio oggi è di optare per l'estremo opposto: "Non spetta a noi farci coinvolgere in queste cose, limitiamoci a fare del controterrorismo e speriamo che funzioni".

“Aiutare l’Africa a trovare stabilità è un modo per proteggere noi europei”

La mia personale opinione è che si possa imparare dagli ultimi 20 anni e giungere a una posizione più misurata, con la quale si riconosce l'esistenza di questa minaccia, si riconosce che è nel nostro interesse affrontarla, ci si rende disponibili ad aiutare coloro che in queste comunità provano ad affrontare questa minaccia, li si aiuta in maniera combinata nell'ambito della sicurezza e del cosiddetto "nation building". Non nel senso di assumersi la piena responsabilità per il Paese, ma nel senso di offrire loro supporto nel loro Paese. E lo si fa come un saggio investimento a lungo termine per proteggere noi stessi.

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