La leader birmana, deposta dal colpo di stato dei militari lo scorso 1 febbraio, è comparsa in collegamento video davanti al giudice che dovrà processarla per diversi capi d'imputazione tra cui "importazione illegale di walkie-talkie" e "per aver organizzato una protesta durante la pandemia”. Non appariva in pubblico dal giorno del golpe. Le accuse potrebbero costarle fino a tre anni di reclusione. Ieri 18 morti nelle repressioni delle proteste pacifiche
Aung San Suu Kyi, la leader della Birmania deposta dal colpo di stato dei militari, è comparsa in collegamento video davanti al giudice che dovrà processarla per una serie di capi d'accusa tra cui "importazione illegale di walkie-talkie" e "per aver organizzato una protesta durante la pandemia”. Nell'udienza sono stati formalizzate le accuse per altri crimini come "violazione delle legge sulla comunicazione e incitamento al disordine pubblico". San Suu Kyi, 75 anni, non appariva in pubblico dal giorno del golpe, il primo febbraio. "Sta bene", ha precisato il legale, che però non ha potuto parlare con lei prima del processo. La prossima udienza è fissata per il 15 marzo. Le accuse potrebbero costarle fino a tre anni di reclusione, con conseguente esclusione dalle prossime elezioni - sempre che i militari non si rimangino l'impegno a tenerle tra un anno - e possibile scioglimento della sua Lega nazionale per la democrazia. Suu Kyi è detenuta nella sua residenza nella capitale Naypyidaw.
Ieri 18 morti
Intanto, a un mese di di distanza dalla presa di potere militare, in Birmania la repressione armata delle proteste continua. Ieri è stato il giorno più sanguinoso: almeno 18 manifestanti sono stati uccisi dalle forze di sicurezza in diverse città del Paese, teatro di manifestazioni che neanche una nuova ondata di arresti e il crescente uso della forza riescono a fermare. Insensibile alle pressioni internazionali, la giunta militare mostra di non aver esitazioni a uccidere manifestanti pacifici.
Proseguono le proteste
Secondo l'Ufficio per i diritti umani dell'Onu, le forze di sicurezza sono intervenute con la forza - sparando anche proiettili veri - contro folle pacifiche a Rangoon, Dawei, Mandalay, Myeik, Bago e Pokokku. Sui social media girano video di poliziotti anti-sommossa che sparano verso gruppi di manifestanti disarmati, nonché scene di guerriglia urbana con esplosioni e gas lacrimogeni. Con la repressione di ieri, sono salite ad almeno 22 le persone uccise dal primo febbraio, quando le forze armate del generale Min Aung Hlaing hanno preso il potere spodestando il governo sotto la guida di Aung San Suu Kyi. La protesta del “Movimento di disobbedienza civile" ormai unisce il Paese, continuando imperterrita nonostante almeno 1.200 arresti prima di politici, poi di manifestanti e anche di giornalisti. Intere categorie professionali e dipendenti pubblici in ogni settore sono in sciopero, con l'effetto di mettere in ginocchio l'economia.