Il quotidiano della Grande Mela riferisce che la settimana scorsa, il presidente ha chiesto ai suoi principali collaboratori la possibilità di colpire la centrale di Natanz. I consiglieri lo hanno dissuaso sottolineando che l'operazione avrebbe potuto portare rapidamente a un conflitto più ampio
Tra le mosse contemplate dal presidente americano Donald Trump per gli ultimi mesi del suo mandato, c'è stata anche quella di lanciare un "attacco militare" contro un sito nucleare iraniano. A riportare il retroscena è il New York Times, che spiega che il presidente uscente ha sondato i suoi collaboratori la settimana scorsa sulla possibilità di un bombardamento, ma è stato "dissuaso" dai suoi consiglieri (LO SPECIALE USA 2020).
Trump dissuaso dai suoi consiglieri
Secondo il quotidiano Trump ha chiesto il 12 novembre a diversi suoi collaboratori - tra cui il vicepresidente Mike Pence, il segretario di Stato Mike Pompeo e il capo di stato maggiore Mark Milley - se c'era "la possibilità di agire contro" questo sito "nelle prossime settimane". I consiglieri di Trump, spiega ancora il New York Times, hanno sottolineato che una simile operazione avrebbe potuto portare rapidamente a un conflitto più ampio.
L'Iran e la ripresa del nucleare dopo la rottura dell'accordo
Secondo il quotidiano della Grande Mela, molto probabilmente Trump voleva colpire il sito di Natanz. L'interesse del presidente segue un rapporto dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) secondo cui Teheran continua ad accumulare uranio: nel sito di Natanz le scorte di uranio accumulate sarebbero 12 volte superiori rispetto a quanto consentito dall’accordo nucleare voluto da Barack Obama e successivamente cancellato da Trump. L'Aiea ha stimato la quantità di scorte in circa due tonnellate e mezzo di uranio con un basso livello di arricchimento, ma per produrre bombe atomiche l’uranio dovrebbe essere portato a un grado di arricchimento più elevato, un processo che richiede diversi mesi di lavoro. La quantità di uranio che l’Iran ha ripreso a lavorare, comunque, è molto inferiore alle scorte che aveva accumulato il Paese prima dell’accordo nucleare del 2015.