Usa 2020, Arizona all'ultimo voto fra Trump e Biden

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Federico Leoni

Federico Leoni

Testa a testa fra Trump e Biden in uno stato che sta cambiando rapidamente. Il ruolo dei latinos.

Niente fa più Arizona di un tramonto. O di un saguaro, i tipici cactus che abbiamo visto mille volte nei film western. Così quando le piste sabbiose cominciano a scorrere ai nostri lati, lungo la highway, e le ombre delle piante grasse si allungano davanti a noi, io e Flavio Maspes ci rendiamo conto che siamo entrati in Arizona. E’ un nulla molto affascinante, quello da cui siamo circondati: sabbia gialla, cespugli che rotolano, case piatte dall’apparenza polverosa, cartelli metallici che cigolano accarezzati da un vento bollente. E’ lo scenario perfetto per un duello, e i pistoleri stavolta sono Donald Trump e Joe Biden.

Stato conteso

Il deserto è una parte del tutto, in questo stato. Ci sono anche centri urbani vivaci, strade a sei corsie che si arrotolano su loro stesse, centri medici d’eccellenza, ristoranti gourmet e tante persone – soprattutto giovani – che si sono trasferite qui da stati come la California, portando con loro le proprie convinzioni democratiche. E’ (anche) per questo che l’Arizona è divenuta un territorio conteso. L’ultimo candidato democratico alla Casa Bianca in grado di vincere qui fu Bill Clinton: era il 1996. L’Arizona, però, si è stancata di essere una conquista facile. I repubblicani non possono darla per scontata. E c’entrano anche gli ispanici.

L'incognita degli ispanici

I latinos votano democratico, si dice. Vero, ma non sempre. Certo, nel 2016 le parole forti di Trump nei confronti dei messicani (“criminali e stupratori”) irritarono buona parte dell’elettorato ispanico, ma non tutto. E comunque, ormai, quelle parole sono lontane. A Yuma bussiamo alla bottega di Antonio, barbiere di origine messicana che quattro anni fa, in un’intervista al New York Times, confessò la propria passione per Trump. Siamo curiosi di sapere se le sue idee sono cambiate. La risposta è no. Ha già votato per il presidente, grazie all’early voting, e ci spiega perché: “prima qui nessuno trovava lavoro. Andavano tutti via: a Phoenix, a Tucson, a Las Vegas. Da quando lui è presidente il lavoro è tornato”. Antonio segue il presidente anche sul fronte della pandemia: “con il lockdown io devo chiudere tutto e continuare a pagare le bollette. Come faccio? Sono contento che Trump non voglia chiudere”.

Una nuova California?

In Arizona la sfida si combatte casa per casa. E non è un modo di dire. Camminando lungo la strada, nei giardini delle villette, i cartelli a favore di Biden e quelli per Trump si alternano con regolarità cronometrica. Due idee d’America strette in un unico stato. Con le conseguenti, inevitabili tensioni. A Scottsdale, qualche chilometro a nord di Phoenix, c’è un raduno di motociclisti trumpiani: la musica è alta, i tatuaggi abbondano, le mascherine suscitano insofferenza. Tutti hanno la sensazione che qualcuno voglia scippare al presidente un’elezione già vinta. “Raccontate le cose come stanno”, ci chiedono. E noi ci proviamo. Sul banco di un venditore di gadget, però, c’è un adesivo più eloquente di noi. Dice “do not California my Arizona”. Non trasformare la mia Arizona in una nuova California. La sfida è tutta qui.

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