La guerra non si ferma e, anzi, il bilancio peggiora di ora in ora. Si parla di oltre 200 morti tra i soldati e di almeno 18 civili uccisi. È solo di ieri la notizia del bombardamento di Ganja, bombardata dalle forze armene del Nagorno-Karabakh
Dalla trincea al lancio dei missili a lungo raggio, così si è trasformato in una sola settimana un conflitto - quello fra Armenia e Azerbaijan - che va avanti dagli anni '90 e che periodicamente si riaccende per poi spegnersi entro pochi giorni. Questa volta però le cose sembrano mettersi peggio e l’annuncio del bombardamento, da parte dei separatisti, della seconda città dell’Azerbaijan complica, se possibile, ulteriormente la situazione. Ganja, antica fortezza turca che gli azeri chiamano lo Scudo dell’Asia, è stata colpita in risposta all’attacco azero alla capitale dell'autoproclamata Repubblica dell'Artsakh, Stepanakert. Strade e case distrutte, le sirene del coprifuoco che risuonano ogni sera e il Nagorno-Karabak che ogni giorno che passa si sta trasformando in una polveriera. Molti abitanti stanno cominciando un nuovo esodo prima che sia troppo tardi.
La Croce Rossa denuncia una situazione isostenibile
Le divisioni politiche sono chiare: dietro Armenia e Azerbaijan ci sono Russia e Turchia, non è un segreto. Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha avvertito l’Azerbaijan che stanno morendo troppi civili armeni. Dall’altra parte, la Turchia, per bocca del ministro della Difesa annuncia la liberazione d’un villaggio - Jabrayil - "dal giogo dell’occupazione armena", prima ancora che lo comunichi Baku. Gli azeri però minacciano: "Se si allarga il terreno dello scontro, colpiremo anche noi dentro l’Armenia". La Croce Rossa, invece, denuncia: "Vengono distrutti ospedali, centinaia di case, scuole, mercati, reti idriche e telefoniche, tubi del gas", a causa di “bombardamenti indiscriminati sui civili da entrambe le parti".
Nagorno-Karabakh, lì dove passa il gasdotto
Nessun cessate il fuoco è previsto per il momento. Negli ultimi giorni gli azeri hanno anche sostenuto d’aver ucciso il leader dell’Artsakh, Arayik Harutyunyan, che però ha smentito con un video. Nikol Pashinyan, il premier armeno che un anno fa si presentava come l’uomo del dialogo, ha comunicato ad Angela Merkel che ci sarebbero dei jihadisti siriani inviati da Ankara, assieme a "150 alti ufficiali turchi che coordinano le operazioni nemiche". Anche l’azero Ilham Aliyev dice di essere pronto a dialogare, ma "la pazienza è finita, non abbiamo tempo d’aspettare altri 30 anni di mediazione dell’Osce: il conflitto va risolto ora". Stando alle ultime informazioni, l’Azerbaijan sarebbe disposto a ritirarsi dal Nagorno-Karabakh solo se l’Armenia smettesse di bombardare le sue città; l’Armenia accetterebbe una tregua solo se i turchi se ne andassero dalla regione. Ma per adesso non sembrano esserci possibilità che uno dei due (o cinque) fronti sia disposto a cedere il passo. È anche noto che sotto il Nagorno-Karabakh passa il gasdotto del Caucaso meridionale, quello che porta il gas naturale azero al Tanap, il consorzio turco. L’anno prossimo, dopo 25 anni, scadrà l’accordo che obbliga Ankara a rifornirsi d’energia da Mosca.