Taiwan, Audrey Tang tra Cina e digitalizzazione

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Pio D'Emilia

"Come coniugare privacy e digitalizzazione? Semplice. Lo stato deve essere trasparente, i cittadini no”, dice il ministro

39 anni, ex bambino prodigio, transessuale, è la più giovane ministra nella storia della repubblica di Taiwan. A 5 anni aveva già letto ed in parte memorizzato alcuni classici cinesi, a 6 anni giocava con le equazioni e a 8 anni ha cominciato a programmare. A 12 anni era già un’esperta di Perl e Haskell, piattaforme alle quali continua a dare il suo contributo.  A 12 anni, grazie ai genitori che l’hanno appoggiata e alla preside che ne ha “coperto” le assenze, ha lasciato la scuola, continuando gli studi privatamente. A 21 anni aveva già conseguito due lauree e cominciato a lavorare nella Silicon Valley, per varie aziende Usa, compresa la Apple. Nel 2005 ha iniziato il suo lento percorso transgender, contribuendo con il suo caso ad aumentare la sensibilità di società ed istituzioni. Oggi Taiwan è l’unico paese asiatico a riconoscere i matrimoni gay e a garantire tutti i diritti alla comunità LGBT. Si definisce “anarco-conservatrice” e auspica una società super-digitalizzata, con software pubblico aperto e accessibile gratuitamente a tutti i cittadini.  I quali hanno tuttavia il diritto di “difendersi” da ogni ingerenza dello stato. 


 

D: Audrey , lei è stata fra le prime persone a insospettirsi su Huawei , a capire che c’era qualcosa che non andava già 6 anni fa se non erro,  e da allora ha definito Huawei come una sorta di cavallo di Troia ma cosa c’è in particolare che non va? Perché tutto sommato stiamo parlando di un’azienda privata, come mai spaventa tanto? 

  

R: All’interno della Repubblica Popolare Cinese, non esiste proprio il concetto di azienda privata come la intendiamo noi… 

se lo Stato vuole cambiare i vertici di una compagnia “privata” può farlo, e  

non c’è modo per sottrarsi a questo controllo se la compagnia in questione è nata in Cina, l’ingerenza dello Stato è ineludibile ed è la premessa quindi la conclusione a cui siamo giunti è che se la 

tensione sale lo stato cinese può ricorrere a mezzi legali o extragiudiziali per far sì che le aziende “private” agiscano in base alla sua volontà 

  

D: Lei è certamente più esperta di me…in qualità di esperta crede che al giorno d’oggi il mondo possa andare avanti senza Huawei? 

R: Dal 2014 la nostra rete 4G non utilizza più alcun componente proveniente dalla Repubblica Popolare cinese... e non mi sto riferendo a nessuna azienda specifica, è una policy generale.  

E come può vedere dal mio telefono che è ovviamente un 5G, perché 

qui c’è già un discreto segnale 5G, non solo stiamo andando avanti, ma stiamo facendo enormi progressi senza ricorrere alle loro componenti nella nostra rete di base 

  

D: Allarghiamo l’orizzonte.…Al momento c’è un grande dibattito in Occidente, e anche in Italia su come sia possibile conciliare tecnologia e digitalizzazione con la tutela della privacy 

Voi a Taiwan siete molto avanti su questo argomento, siete uno dei modelli da seguire, può dirci secondo lei dove sta l’equilibrio? 

 

R: L’equilibrio è molto semplice: lo stato deve essere trasparente verso i cittadini mentre i cittadini non devono esserlo verso lo Stato. La trasparenza deve esserci, ma in modo totalmente unilaterale. Tutte le decisioni che riguardano i diritti umani ma anche tutte le altre importanti decisioni pubbliche, vanno prese in completa trasparenza. Ma questo non basta: la seconda cosa è la responsabilità. 

Chiunque chiami il numero verde 1922 per informazioni sul Covid riceve delle risposte ai propri dubbi e alle proprie incertezze e se qualcuno solleva un’osservazione valida, come potrebbe fare un giornalista come lei, queste verranno affrontate anche nella conferenze stampa quotidiane trasmesse in streaming ormai da 4 mesi, cosi ogni volta che la società chiede lumi sulle misure di sicurezza in vigore, dobbiamo rispondere con piena responsabilità. E se la società propone una soluzione migliore rispetto a quelle trovate da noi, come ad esempio indossare tutti delle mascherine rosa per incoraggiare i ragazzi a indossare le mascherine a scuola, allora lo faremo senz’altro il giorno dopo durante la conferenza stampa. 

  

….Tornando a noi la decisione più difficile che ho dovuto prendere è stata quella di abbandonare la scuola quando avevo 15 anni . Avevo vinto il primo posto al concorso nazionale di scienze assicurandomi quindi l’ammissione a qualsiasi college avessi scelto ma poi andai a parlare con la preside e le dissi che i nostri libri erano indietro di 10 anni , che tutti apprendevamo di più su internet  

e dunque non c’era alcun motivo per me di continuare a frequentare la scuola. Ma il problema è che quella a Taiwan era considerata scuola dell’obbligo e non c’era ancora una legge che prevedesse il cosiddetto home schooling un’istruzione alternativa,  quindi se avessi smesso di andare a scuola i miei genitori sarebbero stati multati. Ma la preside ha avuto un gran coraggio e mi appoggiò:  “Conosco il tuo curriculum, vedo che già collabori con professori universitari e quindi hai ragione, non avrebbe senso per te continuare qui. Da domani non dovrai più venire e io falsificherò i documenti per coprirti”.  Ovviamente adesso posso parlarne perché la cosa è andata in prescrizione, sono passati molti anni e so che questo non la metterebbe nei guai.. .Ad ogni modo quello fu un atto di disobbedienza civile ma non solo da parte mia o dei miei genitori ma anche da parte della preside e questo ha infuso in me un senso di grande fiducia verso la capacità del settore del servizio civile di innovarsi. Senza l’aiuto della preside non avrei mai potuto farlo, a prescindere dal mio coraggio, non avrei potuto abbandonare la scuola, fondare la mia azienda e studiare all’università senza avere prima conseguito un diploma. 

  

 

D: E cosa mi dice del suo percorso per cambiare sesso? È stato difficile nella società cinese? Sappiamo che Taiwan è l’unico paese asiatico che riconosce i diritti della comunità LGBTQ, ma quanto è stato difficile all’epoca? 

R: In realtà ci sono altri paesi asiatici che riconoscono i diritti LGBTQ, ma noi siamo gli unici ad aver legalizzato anche i matrimoni tra persone dello stesso sesso, e prima ancora le unioni civili 

Ma tornando al 2005-2006, quando iniziai la transizione, Taiwan era già una delle società più aperte in Asia in fatto di diritti transgender

  


D: Da hacker “di strada”  è diventata prima consulente e poi ministra del governo. Come si concilia tutto questo?
R: Sono ancora un’hacker civica. Scrivo ancora codici di programmazione, per assicurare che il nuovo sistema non risenta dei difetti del vecchio. Faccio ancora un sacco di cose, partecipo a varie iniziative ..e sono ancora un’hacker civica mentre faccio la ministra. 

 

D: Si è definita anche un’anarchica conservatrice. Sembra un ossimoro….

 

R: Un conservatore è qualcuno che rispetta le tradizioni culturali e vuole tutelare quelle tradizioni anziché sacrificarle in nome del progresso. È questo che significa conservatore per me. A Taiwan abbiamo oltre 20 lingue nazionali, oltre 20 culture: indigene, nuovi immigrati, internet e molte altre culture. Se una cultura progredisse a danno delle altre culture, ci sarebbe una forma di autoritarismo o perfino totalitarismo. Taiwan è una Repubblica transculturale di cittadini. Dobbiamo tutelare tutte quelle culture affinché emerga una visione transculturale e la democrazia funzioni. Tale processo non è coercitivo. Non diciamo di non avere un governo, ovvio che abbiamo un governo. Ma significa che per alcune tematiche, come il matrimonio egualitario ad esempio, lavoriamo con chi crede che i diritti e i doveri delle coppie omosessuali dovrebbero essere gli stessi delle coppie eterosessuali. Ma lavoriamo anche con chi crede che il matrimonio sia l’unione tra due famiglie, che non vogliono contemplare che le coppie omosessuali costruiscano lo stesso tipo di rapporto. Ascoltiamo entrambe le parti e poi passiamo alla legislazione. Per legalizzare lo stato civile,  ma non la parentela. Così quando due persone dello stesso sesso si sposano, avranno lo stesso livello di diritti e doveri, ma le loro famiglie non si uniscono. Questo è un eclettico approccio di innovazione sociale per risolvere un dilemma della società, sostenuto da due referendum nonché una sentenza della corte costituzionale. È questo quel che intendo con anarchismo. Non si tratta di lanciare bombe per strada. Si tratta di garantire che le persone condividano  valori comuni  senza coercizione. Senza escludere le persone solo perché rappresentano pochi voti. È un’associazione volontaria non coercitiva. 

 

D: Ho letto che lei ha un QI di 180, è vero?


R: No, quelli sono i centimetri, un’unità diversa. È la mia altezza. 

 


D: è possibile immaginare di vivere al fianco della Cina come superpotenza, senza averne paura? La Cina è una minaccia o un’opportunità?


R: La Cina è un ottimo esempio di come la tecnologia non dovrebbe essere usata, per molte casistiche della nostra generazione, ad esempio nel contrasto alla disinformazione. Chiunque proponga di censurare dei siti web, di farli disconnettere, riceve immediatamente la critica: “Cosa? Non vorrai mica che adottiamo l’approccio della Repubblica Popolare…!” Le loro argomentazioni non reggono, da noi non entrano neanche nel dibattito politico. La RPC è il punto di riferimento per capire come la tecnologia NON deve essere impiegata a Taiwan. Per noi, in vari settori, è facile avere valori comuni come democrazia, innovazione, inclusione ecc: basta guardare come usa la RPC la tecnologia e dire “non facciamo come loro”. In un certo senso facilita la collaborazione tra settori a Taiwan. Questa è la prima osservazione che voglio fare. In secondo luogo, io ho lavorato con molte persone, non solo nella RPC, ma anche a Hong Kong e in altre situazioni, molti vengono alle mie lezioni online e mi fanno domande. E io intrattengo ottime conversazioni con chiunque partecipi alle mie Q&A in diretta. Non è che io non conosca nessuno nella RPC, a Hong Kong o in altri luoghi. Mi sembra di capire che anche loro cerchino un cambiamento. Vogliono un modo per parlare liberamente, ad esempio con il whistleblowing, sulla situazione del COVID-19, come fece il Dottor Lee Wenliang. Il Dottor Lee Wenliang ha salvato la vita di molti taiwanesi, perché la sua denuncia è arrivata ai nostri responsabili sanitari, che hanno detto che a partire dal primo gennaio, tutti i viaggiatori in arrivo da Wuhan dovevano superare delle visite sanitarie. Senza il contributo del Dottor Lee, ora non avremmo superato i 100 giorni senza nuovi casi. Perciò lo ringraziamo. Ma siamo anche solidali con le persone di Hong Kong o della RPC. Avrebbero preferito che il Dottor Lee Wenliang non fosse ammonito dalle forze dell’ordine locali e che la diffusione del suo messaggio non venisse ostacolata. Lui avrebbe potuto salvare molte vite anche a Wuhan se lì ci fosse lo stesso livello di libertà di parola, anzi non lo stesso ma un po’ di più, online e così via. E questo è un parere comune nella sfera locale della RPC. Io non perderei la speranza. C’è l’idea che la democrazia liberale non sia solo una “cosa occidentale”. È una cosa umana. E questa è la mia osservazione finale. 

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