Perché il Recovery fund rappresenta l’ultima chiamata per l’Italia

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Roberto Tallei

Quella che è stata definita come “l’ultima chiamata” per l’Europa, adesso che l’Unione ha fatto la sua parte, è diventata l’ultima chiamata per l’Italia. E, se la proposta della Commissione  sarà approvata senza troppi stravolgimenti, cosa affatto scontata, il nostro Paese avrà un’occasione irripetibile.

Ecco perché secondo Roberto Tallei,  corrispondente da Bruxelles di Sky TG24

 

È stata definita “l’ultima chiamata” per l’Europa, ma - ora che l’Unione ha fatto la sua parte -l’ultima chiamata è diventata per l’Italia. Se infatti la proposta della Commissione sul Recovery fund otterrà senza troppi stravolgimenti l’approvazione delle 27 capitali (cosa, per la verità, affatto scontata), il nostro Paese avrà un’occasione irripetibile.

Ottantadue miliardi di sussidi e 91 miliardi di finanziamenti (a tasso vicino allo zero e, dunque, molto più convenienti di qualunque emissione di titoli di Stato per chi ha un debito come il nostro) sono una cifra imponente, la più alta prevista tra i Paesi membri. Una cifra che però ora richiede responsabilità. L’Europa ha infatti posto come unica condizione quella di spendere i fondi guardando al futuro: investire in sanità, istruzione, giustizia, pubblica amministrazione, digitalizzazione, sostenibilità ambientale e climatica, lasciando campo libero al singolo governo per fissare priorità e progetti. Rispetto ad altri salvataggi avvenuti in passato in Europa, insomma, le riforme chieste non sono finalizzate ai tagli e alla “macelleria sociale”, ma alla modernizzazione di un Paese rimasto indietro in quasi tutte le grandi sfide.

Maggioranza e opposizioni si trovano ora di fronte a un bivio. Si possono usare queste risorse per mettere in campo investimenti ambiziosi, con effetti concreti sull’economia e sulla vita dei cittadini: pensiamo a come l’Alta velocità ferroviaria abbia rivoluzionato le nostre abitudini o a quanto la banda larga sia rivelata preziosa nei giorni di lockdown. Al contrario, si possono spendere i fondi in mille rivoli di mance e mancette, dai favori localistici ai micro-bonus fiscali a pioggia, che forse a fine mese neppure vengono percepiti. L’ipotesi di usare il Recovery fund per tagliare le tasse, peraltro, merita una precisazione: la misura sarebbe di per sé strutturale, mentre le risorse europee sono una tantum. Scegliere tra investimenti e spesa corrente significa però anche scegliere tra risultati a medio-lungo termine e ricadute più nell’immediato. E in un Paese in perenne campagna elettorale questo può diventare un problema e una tentazione.

 

Stavolta poi in ballo c’è anche una questione di fiducia con i partner europei. Sappiamo infatti che molte capitali non fanno salti di gioia (per usare un eufemismo) nel regalare soldi all’Italia. E sappiamo anche che negli anni il nostro Paese non ha brillato nella gestione dei fondi europei, al contrario di altri Stati che proprio grazie alle risorse comunitarie hanno fatto importanti balzi in avanti in termini di modernizzazione. L’Italia è dunque oggi di fronte anche a una prova di credibilità. Se la supererà, avrà dato una lezione a quei governi che nell’Europa vedono solo un ghiotto mercato unico e nulla più, un suq dal quale spuntare ogni volta il miglior affare, senza preoccuparsi del passato e del futuro del progetto politico comunitario. Ma se la prova di credibilità fallirà, l’Italia sarà ancor di più marchiata a fuoco come un Paese inaffidabile e difficilmente potrà sperare di continuare a presentarsi a Bruxelles con il cappello in mano, mendicando lo sforamento degli zero virgola e lamentando la mancanza di solidarietà europea.
Si dice che un politico guarda alle prossime elezioni mentre uno statista guarda alle prossime generazioni. La nostra classe dirigente adesso deve decidere da che parte stare.

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