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Olocausto, cominciato ad Amburgo il processo contro una ex guardia nazista di 93 anni

Mondo
Ansa

Bruno Dey è accusato di aver contribuito alla morte di 5230 prigionieri nel campo di concentramento di Stutthof, vicino a Danzica. Contro di lui testimonieranno 25 sopravvissuti da tutto il mondo. Sarà giudicato dal Tribunale dei minori perché all'epoca aveva 17 anni

È cominciato oggi il processo contro una ex guardia nazista del campo di concentramento di Stutthof, vicino a Danzica, in Polonia. Bruno Dey, che oggi ha 93 anni, è accusato di aver contribuito alla morte di 5230 internati. All’epoca dei fatti, tra l’agosto del 1944 e l’aprile del 1945, l’imputato aveva 17 anni e per questo motivo sarà giudicato dal Tribunale dei minori di Amburgo, in Germania.

Corresponsabile della morte di 5230 prigionieri

Nel campo di concentramento di Stutthof, Bruno Dey aveva il compito di presidiare le torri di guardia. È accusato di essere corresponsabile della morte di 5230 persone, una cifra che include 5mila prigionieri deceduti a seguito di un’epidemia di tifo, 200 persone uccise nelle camere a gas e altre 30 giustiziate con un dispositivo costruito appositamente per uccidere con un colpo al collo. L’accusa ritiene che, impedendo ai prigionieri di fuggire, le guardie abbiano svolto un ruolo cruciale nel consentire che si verificassero omicidi di massa a Stutthof, dove circa 65mila persone morirono prima del 9 maggio 1945, quando il campo fu liberato dalle forze armate.

Chiamate a testimoniare 25 persone da tutto il mondo

Bruno Dey, che è arrivato in aula coprendosi il volto con un foglio rosso, ha collaborato con gli investigatori facendosi interrogare per otto volte prima del processo. Un medico lo ha dichiarato mentalmente idoneo per un processo, ma ogni udienza è stata programmata per durare non più di due ore. In totale le udienze saranno 12 fino al 17 dicembre. Contro di lui compariranno a testimoniare 25 sopravvissuti, provenienti da Polonia, Lituania, Israele, Usa, Australia e Canada. Il processo ha un alto valore simbolico per molte vittime: "Non si tratta di vendetta", ha dichiarato al Guardian Markus Horstmann, avvocato che rappresenta una delle vittime. “Si tratta soprattutto di vedere riconosciuta un’ingiustizia subita e di raccontare la propria storia cosicché non venga dimenticata”.

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