Cos’è, esattamente, una lingua? E quante se ne parlano nel mondo?
MondoIL LIBRO DELLA SETTIMANA In “Brevi lezioni sul linguaggio” (Bollati Boringhieri) il linguista Federico Faloppa fa chiarezza sulle curiosità e i luoghi comuni nati attorno alle parole. Con molti aneddoti e qualche sorpresa
Un adulto guarda un bambino di pochi mesi, gli sorride e scandisce qualche parola, accompagnata magari da una smorfia. Alzi la mano chi non si è trovato almeno una volta protagonista o spettatore imbarazzato di questa scena. Gli studiosi lo chiamano “baby-talk”, e non servono certo i manuali per constatare quanto sia diffuso in Occidente. Ciò che invece pochi sanno è che il “parentese” (così viene chiamato in italiano), secondo molti studiosi, è inutile per lo sviluppo linguistico del bambino. Anche se alcuni rciercatori ritengono che aiuti l’interazione sociale tra figlio e genitore e che richiami l’attenzione sul linguaggio verbale, molti altri sostengono come non sia “madre natura a chiedere di parlare in un certo modo: siamo noi adulti che ci siamo abituati a farlo come se fosse naturale (benché suoni piuttosto innaturale)”. Il bambino, infatti, “riproduce i suoni usando un tratto vocalico molto più piccolo di quello di un adulto”, per questo “non è in grado di riprodurre tutte le frequenze. Una volta ascoltato il parlato di un adulto, deve quindi scomporlo e ricomporlo, per trasformare i suoni uditi in suoni delle frequenze per lui irrealizzabili”. La morale? Presto detta: “Il parentese non serve al bambino come base per immagazzinare i suoni da imitare, né, di fatto serve a noi per imitare il linguaggio del bambino che non si esprime affatto così”.
La storia del contadino che morì insieme alla sua lingua
A raccontarlo è Federico Faloppa in un gradevolissimo saggio da poco pubblicato da Bollati Boringhieri. Si intitola “Brevi lezioni sul linguaggio” (p. 222, euro 18) e racchiude una miriade di informazioni per i profani. Nel suo libro, ad esempio, Faloppa racconta la storia di Tefwick Esenc, l’ultimo contadino in grado di parlare l’ubykh, una lingua un tempo conosciuta solo nel Caucaso-occidentale. Nel 1992, poco prima della sua scomparsa, un discreto numero di linguisti si precipitò nel villaggio turco di Haci Osman per poterne registrare la voce. Poco dopo Tefwick morì, e l’ubykh se ne andò con lui. La curiosità nei confronti di quel vecchio contadino era ampiamente giustificata: è difficile, spiega Faloppa, assistere in presa diretta alla morte di una lingua, così come è assai complessa definirla.
Quante sono le lingue e come definirle
Nel 2017, una delle guide più accreditate dagli studiosi parlava di 7099 lingue viventi parlate da circa sei miliardi e mezzo di persone in cinque continenti: la maggior parte in Africa e in Asia, “solo” 287 in Europa.
Tutto facile? Mica tanto. Decidere cosa sia una lingua e cosa no, a quanto pare, è una faccenda assai complessa. La definizione di un linguista ebreo tedesco-lettone (Max Weinreich) può suonare paradossale ma forse al tempo stesso tornare utile: “Una lingua è un dialetto con un esercito e una marina”. Secondo dottrina, il criterio per definirla consiste nella “mutua intelligibilità”, ovvero sull’abilità dei parlanti di comprendersi tra una lingua e l’altra: “se ci si comprende, si tratta probabilmente della varietà della stessa lingua. Se no si tratta di lingue diverse”.
E i dialetti?
È una regola che potrebbe apparire esaustiva, ma non è così. Per rendersene conto basta dare un’occhiata all’Italia: sempre secondo la guida più accreditata (che si chiama “Ethnologue”), nel nostro Paese “si parlerebbero trentaquattro lingue diverse, di cui ventotto indigene (dal cimbro al corso, dall’emiliano al friulano, dal greco al ladino, dal ligure al lombardo, dallo sloveno al walser)”. Ci sono alcuni dialetti come l’emiliano e il siciliano, altri come l’abruzzese e il pugliese no. E in generale, questi dialetti si possono equiparare davvero a una lingua? “Le domande – nota Falloppa – sono molte e, come vedete, non riguardano solo i linguisti. Ci inducono a pensare inoltre che le stime fornite non siano sempre attendibili, e che debbano essere valutate paese per paese, situazione per situazione”.
Nelle sue lezioni, Faloppa ha il grande merito alternare l’aneddoto alla citazione, strizzando spesso l’occhio al neofita in modo colloquiale ma senza mai perdere di vista la scienza. Alla fine, come avrete probabilmente intuito, le domande restano più delle risposte ma il viaggio vale senz’altro il biglietto.