Sopravvisse all'Olocausto, studiò e revisionò il marxismo, subì le minacce del regime comunista. Intellettuale sempre contro ogni totalitarismo, fu tra le prime voci critiche del premier ungherese Viktor Orbàn
La vita di Agnes Heller, filosofa e pensatrice ungherese scomparsa il 19 luglio a 90 anni, è stata un confronto continuo con la Storia. Il primo, da ragazzina: proveniente da una famiglia della borghesia ebraica di origine austriaca, fu deportata nel ghetto di Budapest. Si salvò - raccontò a chi scrive in un colloquio nella primavera del 2014, mentre scartabellava tra fotografie e cimeli nella sua luminosa casa al centro di Budapest - perché era giovane e aveva le ossa forti: “Se ne accorsero e decisero di usarmi per esperimenti medici, in pratica feci loro da cavia. Ho ancora una cicatrice sulla gamba, ma non mi hanno fatto nulla di grave, o almeno nulla in confronto a quanto fecero agli altri: quella fu la mia fortuna, perché per usarmi dovevano darmi da mangiare”, raccontò con voce rauca, gli occhi stretti a fessura nel ricordare un tempo lontano eppure sempre presente nella sua vita. Del suo essere ebrea e dell'esperienza dell'Olocausto parlò tutta la vita, ma ripeteva spesso che si sentiva ebrea non più di quanto si sentisse ungherese ed europea.
Filosofa contro i regimi
E la ragione di questo sentimento sta forse anche nel secondo confronto con la Storia, quello avvenuto per una vita intera attraverso lo studio dei filosofi. E' stata una della massime studiose di Karl Marx, fino a revisionarne il pensiero con la sua “teoria dei bisogni” che nel '68 e nei primi anni 70 ebbe molta fortuna anche in Italia. Fu allieva eterodossa e collaboratrice di Gyӧrgy Lukács, assieme al quale patì le ritorsioni del regime comunista, prima durante e dopo l'invasione dell'Unione sovietica di Kruscev in risposta alla rivoluzione ungherese del 1956. Nel 1977 andò a insegnare in Canada, senza però mai lasciare del tutto la sua Budapest e restando sempre un punto di riferimento del mondo intellettuale mitteleuropeo. Dal 1986 (e fino a pochi anni fa) insegnò alla New School for Social Research di New York, prendendo nel dipartimento di filosofia il posto che era stato di Hannah Arendt.
La critica nei confronti del premier Orbàn
Ma ciò che ha reso la voce di Agnes Heller oltre che autorevole nel mondo accademico anche rilevante nell'opinione pubblica è stato il suo confronto con la Storia prima che diventi tale, cioè con l'attualità: Heller è stata tra i primi e più inflessibili intellettuali a criticare il premier ungherese Viktor Orbàn. Già nei primi anni '90, quando l'uomo che guida ininterrottamente l'Ungheria dal 2010 a oggi trasformò un movimento studentesco di giovani democratici nel Fidesz, un partito di centro-destra conservatore, “io lo osservavo e nel suo sguardo non vedevo nulla di buono”, confidò la filosofa sempre in quel colloquio. In quel periodo alla sua coriacea battaglia contro le pressioni sui media e le modifiche in senso nazionalista – sovranista, diremmo oggi – alla Costituzione ungherese si contrappose un'indagine dello stesso esecutivo su di lei: la accusavano di aver distratto fondi dell'Istituto nazionale di ricerca. “Quasi due anni di indagini e non hanno mai trovato nulla”, si difendeva lei, che aveva sempre considerato quelle accuse una forma di intimidazione. Senza nascondere i timori di un ritorno agli anni bui del nazismo, perché, diceva, “anche allora cominciò così, con persone intorno che minimizzavano certi atti di forza, ed è così che i totalitarismi si affermano”.