Trump annuncia dazi contro il Messico per combattere l’immigrazione illegale

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Dal 10 giugno tariffe del 5% sul “Made in Messico” importato negli Usa, che saliranno fino al 25% in ottobre se il Paese non aiuterà a risolvere la situazione al confine. Presidente messicano chiede dialogo. Crollano in Borsa le case automobilistiche giapponesi

Il presidente Usa Donald Trump gioca la carta dei dazi anche con il Messico, per cercare di fermare l’immigrazione illegale dal Paese. A sorpresa, il tycoon ha annunciato che dal 10 giugno saranno imposte tariffe del 5% sul “Made in Messico” importato negli Stati Uniti. Le tariffe, ha spiegato Trump su Twitter, “saliranno gradualmente” - fino a raggiungere il 25% in ottobre - se il Messico non agirà per risolvere e bloccare il flusso di immigrati illegali. “I problemi sociali non si risolvono con tasse o misure coercitive”, ha dichiarato il presidente del Messico, Andres Manuel Lopez Obrador, in una lettera a Trump. Ha anche chiesto che due delegazioni si incontrino nelle prossime ore. L’annuncio dei dazi non è piaciuto ai mercati: ha spinto al ribasso non solo la Borsa di Tokyo ma ha provocato anche la caduta delle azioni delle case automobilistiche giapponesi.

Dazi partiranno dal 10 giugno e arriveranno al 25% in ottobre

Il presidente Trump è ricorso a una legge del 1977, l'International Emergency Economic Power Act, che gli consente di regolare direttamente il commercio durante un'emergenza nazionale (il tycoon ha dichiarato l'emergenza nazionale per la situazione alla frontiera con il Messico per poter disporre dei fondi necessari alla costruzione del Muro bypassando il Congresso). Secondo il piano degli Usa, i dazi partiranno dal 10 giugno con tariffe del 5%. Saliranno al 10% in luglio, al 15% in agosto, al 20% in settembre e al 25% in ottobre. “Resteranno permanentemente al 25% fino a che e a meno che il Messico non fermerà il flusso di immigrati" e aiuterà a risolvere la crisi al confine fra i due paesi, ha spiegato Trump. I “dazi sull'immigrazione” sono un tema completamente separato da quello commerciale, ha spiegato il capo dello staff ad interim della Casa Bianca, Mick Mulvaney, mettendo in evidenza che il Congresso era stato informato. "Ci auguriamo di non arrivare al 25%”, ha aggiunto. 

Messico: “Non sapevamo, non era atteso. Aspettiamo i fatti”

L'annuncio dei dazi è arrivato come una doccia fredda sul Messico. “Non sapevamo, non era atteso”, ha detto il vice ministro messicano per il Nord America, Jesus Seade. "Non vogliamo una guerra commerciale con gli Stati Uniti", ha aggiunto. Ha poi precisato che non ci saranno ritorsioni "fino a quando" la misura non sarà stata attentamente esaminata. Ha però anticipato che un’effettiva introduzione dei dazi sui prodotti messicani importati negli Stati Uniti sarebbe disastrosa e che, nel caso, il Messico dovrà rispondere energicamente. “Il Messico non resterà a guardare. Ma il presidente Trump manda molti tweet e molti di essi sono poi superati da altri tweet il giorno dopo. Solo alcuni sono seguiti dai fatti. E io preferisco reagire ai fatti”, ha detto.

Il presidente messicano chiede dialogo

Poco dopo è intervenuto anche il presidente del Messico, Andres Manuel Lopez Obrador: ha chiesto a Trump un incontro nelle prossime ore a Washington fra il ministro degli Esteri messicano e funzionari dell'amministrazione per cercare una soluzione. In una lettera indirizzata al tycoon e postata su Twitter, il presidente messicano ha aggiunto: “I problemi sociali non si risolvono con tasse o misure coercitive”. Ha anche sottolineato di credere nella “politica” come mezzo per “evitare la guerra”. “Non credo nella legge del taglione, nel 'dente per dente, occhio per occhio. Credo in soluzioni pacifiche alla controversie”, ha scritto. Poi ha ricordato a Trump come “gli essere umani non abbandonano le loro case” e la loro terra “per piacere ma per necessità”.

Crollano i titoli delle case automobilistiche giapponesi

L'annuncio del presidente americano ha avuto come effetto immediato quello di far crollare il peso messicano, che è arrivato a perdere fino al 2,3%. I nuovi dazi sono stati accolti negativamente dal mercato, con la caduta delle azioni delle case automobilistiche giapponesi. Nell'ultimo decennio, grandi gruppi automobilistici hanno aumentato i loro investimenti in Messico, approfittando di un accordo commerciale favorevole con gli Stati Uniti e di una forza lavoro di alta qualità e a basso costo. I produttori giapponesi non fanno eccezione e queste tasse doganali, che se applicate avranno un impatto sui prezzi, sono una cattiva notizia quando stanno già affrontando un rallentamento delle vendite negli Stati Uniti. Mazda ha sofferto di più: il titolo è sceso del 7,13% alla chiusura. Giù anche Nissan, Toyota e Honda.

Il braccio di ferro col Congresso

L'affondo di Trump, comunque, rischia di complicare il braccio di ferro avviato con il Congresso riguardo all'accordo di libero scambio con il Canada e il Messico, il Nafta 2.0. La Casa Bianca ha forzato la mano e avviato la procedura per l'approvazione, nonostante lo scetticismo dei deputati democratici. L'amministrazione ha inviato una lettera ai leader del Congresso, il cosiddetto Statement of Administrative Action, che consente alla Casa Bianca di inviare al Congresso l'accordo commerciale entro 30 giorni. Trump punta all'approvazione dell'accordo entro l'estate, ma il Congresso sta temporeggiando. E i dazi annunciati sull'immigrazione, tema già controverso e di scontro con i democratici, rischia di complicare la partita.

Giudice respinge richiesta di sospendere stop ai fondi per la costruzione del muro

Intanto, è fallito il tentativo dell'amministrazione di iniziare i lavori di costruzione del muro al confine con il Messico a El Paso, in Texas, e a Yuma, in Arizona. Il giudice federale Haywood Gilliam, infatti, ha respinto la richiesta dell'amministrazione Trump di sospendere l'ordine che vieta alla Casa Bianca di trasferire fondi dal Dipartimento della Difesa per avviare la costruzione del muro nelle due aree identificate. Gilliam la scorsa settimana ha emesso un'ingiunzione preliminare per bloccare il trasferimento dei fondi da usare per i lavori.

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