Dopo l'abbattimento dell'aereo con a bordo il presidente Habyarimana si scatenò un massacro contro l'etnia tutsi e contro molti hutu moderati. Una carneficina che rappresenta una delle pagine più tristi della storia
Tra gli 800mila e il milione di morti stimati. Uno sterminio iniziato con un attentato a un aereo presidenziale e continuato con il massacro dell’etnia tutsi e di molti hutu moderati. Sono passati 25 anni da una delle pagine più tristi della storia: il genocidio in Ruanda. È il 6 aprile del 1994 quando, a Kigali, due missili terra-aria abbattono il velivolo. A bordo ci sono il presidente ruandese Juvenal Habyarimana, considerato dagli estremisti un hutu moderato, e il presidente del Burundi, Cyprien Ntaryamira. Meno di 30 minuti dopo l'attentato si scatena una sequela di atti carichi di violenza e sangue con pochi precedenti. Il 7 aprile di ogni anno si celebra la Giornata internazionale di riflessione sul genocidio del 1994 contro i tutsi in Ruanda: un triste anniversario istituito nel dicembre 2003 dall'Onu.
L’odio tribale come miccia per la violenza
Per capire il genocidio bisogna però partire da lontano. Il Paese è una colonia tedesca fino all’inizio degli anni Venti del Novecento, quando l’amministrazione viene consegnata al Belgio. Incastonato fra Congo, Uganda, Tanzania e Burundi, nel Ruanda dell’epoca vige la monarchia. Gli scontri fra le etnie hutu (la maggioranza), tutsi e twa (corrispondenti ad appena l’1% della popolazione) non sono così frequenti e si registrano anche matrimoni misti fra i due gruppi più rappresentati.
Il ruolo del Belgio
In molti indicano il Belgio fra i responsabili del genocidio ruandese. Il Paese europeo inizialmente, sposando anche teorie esclusivamente basate sull’antropologia razzista, si affida ai tutsi che rappresentano l’aristocrazia della società e che vengono considerati superiori fisicamente, ed esclude dal potere gli hutu. Alla fine degli anni Cinquanta, quando i tutsi iniziano ad avere aspirazioni di indipendenza, il colonizzatore dà luogo a una rivoluzione che consegna il comando agli hutu. Migliaia di tutsi vengono condannati all’esilio e sono costretti a lasciare il Paese. Inizia una persecuzione lunga decenni.
La guerra civile scoppiata nel 1990
I tutsi che si rifugiano in Uganda danno vita al Fronte Patriottico Ruandese (RPF) e nel 1990 tentano il colpo di stato per riprendersi il potere nel loro Paese di origine. Inizia una guerra civile che dura tre lunghi anni, nel corso dei quali gli hutu cominciano a nutrire dubbi verso il generale Juvenal Habyarimana che nel 1975 aveva instaurato un regime autoritario con un golpe.
La follia dell’uomo
Le tensioni mai sopite sfociano nel genocidio che inizia il 6 aprile 1994, giorno in cui viene eliminato dai missili l’aereo presidenziale su cui viaggia Habyarimana. L’attentato scatena una vendetta trasversale contro i tutsi e contro i cosiddetti hutu moderati. Cento giorni di sangue e di massacri senza pietà a colpi di machete che mostrano al mondo dove può giungere ancora, alle soglie del Duemila, la follia dell’uomo. Nonostante le copiose perdite sul campo di battaglia, il Fronte patriottico ruandese (Fpr), tutsi, conquista la capitale Kigali. Il 19 luglio giura e si insedia il nuovo presidente della Repubblica, Pasteur Bizimungu, e il nuovo governo di unità nazionale.
Dopo il genocidio
Il genocidio e la guerra civile in Ruanda provoca un enorme flusso di profughi, oltre un milione, verso la Repubblica Democratica del Congo (Rdc, allora denominato Zaire) e nel tempo un loro parziale ritorno in Ruanda. La conseguenza è una destabilizzazione di tutte le regioni orientali congolesi, dove si riflette l’ostilità tra hutu e tutsi. Tra il 1998 e il 2002 il sanguinoso conflitto in Congo, definito la “prima guerra mondiale africana’", coinvolge ben sette stati, tra cui il Ruanda, e numerose milizie e etnie, causando oltre tre milioni di morti.
Il tribunale penale internazionale e le condanne
Nel novembre del 1994, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu nomina un Tribunale penale internazionale (Tpi) sui crimini e il genocidio in Ruanda. Il 26 giugno 1995 si insedia il Tpi. La sua sede è ad Arusha (Tanzania). Nel marzo 2008, un processo di appello condanna il sacerdote cattolico Athanase Seromba all'ergastolo, accusandolo di aver partecipato attivamente ai massacri. A dicembre 2008, il Tpi istituito ad Arusha condanna all'ergastolo per genocidio il colonnello Théoneste Bagosora, nel 1994 a capo del Ministero della Difesa ruandese e ritenuto la mente del genocidio, il maggiore Aloys Ntabakuze e il colonnello Anatole Nsengiyumva. Molti autori della strage sono rimasti però impuniti.
Il Ruanda oggi: la Costituzione e la parità di genere
Nel 2003, il Parlamento ruandese adotta la nuova Costituzione. Per la prima volta il Paese è dotato di una Camera dei deputati eletta a suffragio universale. Nell’agosto 2003, si svolgono le elezioni presidenziali. Paul Kagame, capo del Fronte patriottico ruandese, già eletto nel 2000 viene rieletto con il 95% dei voti. L'opposizione denuncia brogli e intimidazioni. Kagame, rieletto per l’ennesima volta nel 2017, è tuttora alla guida del Ruanda. Il Paese, dopo il genocidio che ha causato una drastica riduzione della popolazione maschile, si è distinto per l’ampia rappresentanza di donne in Parlamento. Il Ruanda ha il sesto più piccolo divario di genere al mondo, secondo l’ultima graduatoria del Forum economico mondiale, ed è ad oggi uno dei Paesi col più alto numero di quote rosa alla Camera dei deputati.