Martedì 15 gennaio Westminster voterà sull'accordo mediato da Theresa May con Bruxelles. In pochi credono che la Premier ce la farà: ecco tutti i numeri da considerare, e gli ultimi sviluppi da monitorare.
La Camera dei Comuni è composta da 650 membri. A votare, però, saranno solo 639: bisogna infatti escludere lo Speaker (paragonabile al nostro Presidente della Camera dei Deputati), i suoi quattro Vice, quattro scrutatori e i sette eletti dello Sinn Fein che non prendono parte ai lavori dell'Aula. Il Magic Number dunque è 318.
La composizione politica figlia delle elezioni anticipate del giugno 2017, il maggiore errore politico commesso dall'inquilina di Downing Street, racconta di un "hung Parliament", ovvero di un Parlamento in bilico dove nessun partito, da solo, ha la maggioranza. I conservatori hanno infatti 317 seggi e i laburisti 257. Segue lo Scottish National Party con 35, i Lib Dem con 11, gli irlandesi unionisti del DUP con 10. Poi 7 indipendenti, 7 dello Sinn Fein, 4 del partito nazionalista gallese, 1 dei verdi e, appunto, lo Speaker John Bercow - formalmente conservatore, non vota. Da questi numeri la necessità, per la May, di chiudere l'accordo con gli irlandesi del DUP per un appoggio esterno al suo governo di minoranza; da questa necessità, l'importanza vitale della clausola di salvaguardia per il confine irlandese, il famoso e famigerato "backstop", pomo della discordia dei negoziati.
Ma questa fotografia non basta per capire gli schieramenti che si stanno muovendo sulla Brexit. Perché ogni partito è spaccato, al suo interno, tra Leavers e Remainers. Tra gli attuali deputati conservatori, ad esempio, 134 votarono a favore della Brexit, e ben 180 contro. Soltanto tenendo a mente questa frattura si capiscono le difficoltà della May, attaccata "in casa" sia da chi non voleva uscire dall'Unione europea, sia da chi pensa che il suo accordo faccia troppe concessioni all'Unione europea. Possiamo dare per certo che in 200 la sosterranno: sono quelli che hanno votato a suo favore già a dicembre, quando i Falchi dello European Research Group presentarono una mozione di sfiducia interna. Tutto il resto, però, è terra di conquista.
Se i conservatori piangono, certo i laburisti non sorridono. Ma sono avvantaggiati dall'essere all'opposizione: le loro contraddizioni sono meno evidenti, il pettine è ancora a distanza di sicurezza dai nodi. Jeremy Corbyn ieri ha lanciato tre messaggi: 1) presenteremo una mozione di sfiducia solo quando saremo certi di vincerla; 2) se, o meglio quando, l'accordo verrà bocciato la priorità sono le elezioni anticipate, chiedendo una proroga dell'articolo 50 per permettere nuovi negoziati; 3) soltanto se le elezioni fossero impossibili lavoreremmo per un secondo referendum.
Se l'opinione pubblica insomma sembra aver cambiato opinione sulla Brexit, secondo gli ultimi sondaggi infatti i Remainers oggi sarebbero in maggioranza nel paese, i leader dei due maggiori partiti non cedono di un centimetro. A favore della permanenza nell'Unione europea durante la campagna referendaria, sia pure con entusiasmi tutti da verificare, dal 24 giugno 2016 si sono trasformati in paladini dell'uscita dall'Ue, e di una volontà popolare che oggi non vogliono tornare a interrogare, né tradire.
Sarebbe la fine della democrazia rappresentativa, è la posizione di Theresa May. Sarebbe una frattura quasi insanabile con l'elettorato, ammettono alcuni commentatori. Porterebbe a violenze di piazza, si legge tra le righe di editoriali e discorsi. Il nome di "Jo Cox", la giovane deputata laburista ed europeista uccisa negli ultimi giorni prima del referendum al grido di "Britain First", a torto o a ragione viene evocato sempre più spesso, tanto da portare alla reazione del marito della Cox: se dovete citarlo fatelo per il suo impegno, non come minaccia.
Intanto a pochi giorni dal voto, benché la strada sembri ancora decisamente in salita, ci sono alcuni segnali di cambiamento: i primi deputati conservatori che, da oppositori, si trasformano in sostenitori dell'accordo; il sostegno ufficiale della Confindustria. Decisamente fuori tempo massimo, e in ogni caso con scarsissime possibilità di riuscita, il tentativo della May di portare a bordo i sindacati, leader con cui non ha parlato per anni e che ora ricevono telefonate dell'ultimo minuto.