A una settimana e un giorno dal voto sul suo accordo alla Camera dei Comuni Theresa May garantisce: "tra due settimane avrò ancora un lavoro". Niente dimissioni in caso di sconfitta dunque, ma il rischio di una sfiducia, nel partito o in Parlamento, rimane concreto.
La data cerchiata in rosso sul calendario è l'11 dicembre; al termine di cinque giorni di dibattito parlamentare, e a meno di 4 mesi dal Brexit-Day fissato per il 29 marzo 2019, Westminster deciderà se sostenere o meno il compromesso raggiunto dalla Premier con i leader dell'Unione europea.
Cosa dice l'accordo
Il pacchetto chiuso dalla May è composto da 2 parti: l'accordo sul divorzio, chiamato "Withdrawal Agreement", e la dichiarazione politica sulle relazioni future.
46 anni di te e di me
Il primo, composto da circa 500 pagine, stabilisce i termini dell'uscita del Regno Unito dall'Unione europea e soprattutto prevede:
- protezione dei diritti dei cittadini europei nel Regno Unito e britannici nell'Unione europea;
- periodo di transizione fino a fine 2020, con possibile estensione al massimo per due anni (decisione da prendere nel luglio 2020);
- costo del divorzio, ovvero i famosi e famigerati 39 miliardi di sterline che Londra verserà a Bruxelles per tenere fede agli impegni presi quando era ancora membro;
- creazione di un meccanismo con arbitro indipendente per eventuali dispute;
- clausola di salvaguardia per il confine irlandese: se, per quando sarà finito il periodo di transizione, non sarà ancora in vigore il futuro trattato commerciale a garantire l'assenza di un confine fisico tra Irlanda e Irlanda del Nord, il Regno Unito rimarrà nell'Unione doganale e il Nord Irlanda anche nel Mercato Unico - soluzione che però deve essere temporanea.
Friends With Benefits?
Lo pensano in molti anche se a Theresa May la definizione non piace, lei preferisce "very good friend". E la regola dell'amico vale anche a *certi* livelli. Ma non divaghiamo. I punti principali della dichiarazione politica, 147 paragrafi che stabiliscono a grandi linee i futuri rapporti tra Regno Unito e Unione europea ma che non sono vincolanti, sono:
- fine della libera circolazione delle persone, ma possibilità di brevi viaggi senza visto;
- possibilità per Londra di avere una politica commerciale indipendente;
- vengono sottolineate la sovranità e l'integrità del Regno;
- c'è l'impegno a evitare il più possibile la clausola di salvaguardia per l'Irlanda del Nord;
- creazione di un'area di libero scambio per le merci, con possibile allineamento normativo;
- Per i servizi finanziari livello di accesso basilare, simile a quello di Stati Uniti e Giappone- profonda cooperazione doganale;
- forte cooperazione in materia di sicurezza, anti terrorismo e anti crimine.
Ma poi, quanto ci costa?
Secondo il Ministero del Tesoro, in un arco temporale di 15 anni, con l'accordo firmato dalla May la minore crescita dell'economia rispetto all''appartenenza all'UE sarebbe quantificabile tra il 2,5 e il 3,9%; cifre che diventerebbero 7 e 9,3% con qualsiasi altra Brexit più hard.
E allora perché lo odiano tutti?
Normalmente si spiega l'andamento della politica con l'andamento dell'economia - it's the economy, stupid! Ma la Brexit è l'eccezione che conferma la regola. A motivare quel voto, nel giugno del 2016, è stato molto altro: la crisi di identità di un Regno che si crede ancora Impero; le centinaia di migliaia di "migranti economici" - italiani in prima fila - che ogni anno per anni sono sbarcati in cerca della loro America europea, e quindi senza necessità di visti o permessi; l'insoddisfazione contro il governo, che è diventata insoddisfazione nei confronti dell'UE che con quel governo aveva trattato fino all'ultimo istante utile; l'euroscetticismo della classe politica britannica, che questa volta si è rivelato vincente.
Sì, ma tolti i grandi scenari: cosa c'è che non va in questo accordo?
Esclusi i remainer, che sognano un secondo referendum; e i laburisti, che fanno opposizione per statuto; la maggioranza di governo ha soprattutto due problemi con questo compromesso:
- la clausola di backstop non può essere interrotta in modo unilaterale, e può essere unicamente superata da un nuovo accordo commerciale. Questo vuol dire che, se Bruxelles agisse in mala fede, Londra potrebbe trovarsi in un'unione doganale con l'UE, quindi impossibilitata ad avere una propria politica commerciale, potenzialmente a tempo indefinito, come confermato anche nel parere legale dell'Attorney General Geoffrey Cox. E anche se nero su bianco il testo dice che il backstop deve essere temporaneo, tutti sanno che non esiste nulla di più permanente delle cose temporanee.
- sempre la clausola di backstop prevede, unicamente per il Nord Irlanda, un sia pur parziale allineamento al mercato unico. Circostanza che, per i Democratici Unionisti irlandesi, potenzialmente è il primo passo per l'uscita dell'Ulster dal Regno Unito - eventualità, per loro, intollerabile.
Se l'accordo passa
Per approvarlo servono 318 voti - che al momento May non sembra avere. In caso di vittoria, il Governo presenta alla Camera dei Comuni la sua conversione in legge, che deve terminare il suo iter parlamentare e ricevere il Royal Assent entro il Brexit Day. In caso contrario, il Regno Unito è costretto a uscire dall'UE senza accordo.
Niente panico però...
E' estremamente probabile che se il ritardo fosse dovuto unicamente a questioni procedurali e non politiche le parti si potrebbero accordare per una minima estensione dell'Articolo 50.
Non ve lo ricordate più?
L'Articolo 50 è l'articolo del Trattato di Lisbona che stabilisce la procedura da seguire quando uno Stato membro vuole lasciare l'UE. Per la parte che ci interessa, il suo paragrafo 3 recita che "i trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine". Nel nostro caso, i due anni scadono, appunto, il 29 marzo 2019.
Se l'accordo non passa
Se l'accordo non passa, come al momento sembra essere altamente probabile, l'Esecutivo ha 21 giorni per presentarsi alla Camera dei Comuni e dichiarare le sue intenzioni su come procedere, intenzioni su cui il Parlamento è chiamato a esprimersi entro 7 giorni lavorativi. Se le approva, si procede come stabilito. Se non le approva, il passo successivo è un'uscita senza accordo il 29 marzo 2019.
In parole povere
Con il calendario attuale, che proprio oggi Downing Street ha confermato, il voto si terrà l'11 dicembre. In caso di bocciatura l'Esecutivo dovrà spiegare come intende procedere entro il 31 gennaio. Il Parlamento però chiude il 21 dicembre, e nessuno vuole "cancellare" il Natale; dunque possiamo aspettarci una decisione entro quella data.
Nel frattempo però...
I falchi del partito conservatore probabilmente riuscirebbero a raccogliere le 48 lettere necessarie per sfidare la leadership della May.
Il partito laburista da parte sua certamente, lo ha già annunciato, presenterebbe una mozione di sfiducia in Parlamento.
E lei?
Lei non è obbligata a dimettersi. E ora assicura che tra due settimane sarà ancora al suo posto. Ma in politica due settimane sono un'eternità, e in Brexitlandia il tempo se possibile è dilatato.
Se May viene sfiduciata in Parlamento, si va a elezioni
Ed al momento nessuno sa dire cosa sarà dei negoziati Brexit. L'opzione più probabile è un'estensione dell'articolo 50 per permettere al Regno di fare campagna elettorale; una campagna elettorale che sarebbe di fatto un secondo referendum, con i partiti a fare campagna per la "propria" Brexit. Occorre sottolineare che ogni partito è diviso in almeno tre versioni?
Se May rimane al comando, ci sono vari scenari possibili:
- secondo voto sullo stesso testo pochi giorni dopo il "no". Il tonfo dei mercati, e della sterlina, secondo molti potrebbero essere tali da convincere i deputati a sostenere quello che, al momento, è l'unico accordo sul tavolo. E anche, secondo le proiezioni della Bank of England, il meno dannoso per l'economia del Regno.
- Brexit senza accordo. La data limite è il 26 gennaio 2019, per questa decisione.
E Bruxelles che fa?
Al momento, la posizione dei 27 è univoca e marmorea: i negoziati non si riaprono né si ricominciano. L'accordo è questo; se non dovesse essere approvato, l'unico piano B è il no-deal.
Ma ma ma
Quanto questa posizione sia di forma, e quanto di sostanza; e quanto poi la forma sia sostanza in politica, ecco tutto resta da vedere. In caso di bocciatura Bruxelles potrebbe in realtà riaprire i giochi e concedere qualche cosa di secondario per permettere a May di tornare a testa alta, e magari vincere; e benché al momento nessuno abbia voglia di nuovi negoziati, sarebbe difficile dire di "no" a un eventuale, nuovo, governo laburista.
L'elefante nella stanza
Ovviamente è sempre lui, il secondo referendum. La petizione che lo chiede ha superato le 100mila firme. In Parlamento i suoi sostenitori sono sempre meno timidi. La stampa comincia a interessarsi alla questione. Ma non per questo è diventato più probabile. La May non lo vuole. Corbyn lo interpreta come l'ultima spiaggia, se tutto il resto - dimissioni, elezioni, tutto - dovesse fallire.
Ma poi per chiedere cosa?
Avete cambiato idea? Volete rimanere nell'UE? E se volete andare via, quale Brexit è, la "vostra" Brexit? Non sarebbe una scheda elettorale, dovrebbe essere un questionario a scelta multipla. Tutte obiezioni facilmente superabili, ovviamente. Tranne la più seria: sarebbe un (ulteriore) esercizio di democrazia, o sarebbe un attacco, alla democrazia?